Non si può morire dentro...

di Lorena Puccetti

Stampa la pagina
foto

La Corte Europea boccia la normativa italiana sull'ergastolo ostativo

Lo scorso 13 giugno la Corte europea dei diritti dell’uomo si era pronunciata, nella causa omissis contro Italia, sulla compatibilità del c.d. ergastolo ostativo con i principi sanciti dalla Convenzione Europea sui Diritti umani.

La questione riguarda il particolare regime penitenziario previsto nell'ipotesi in cui l’individuo sia condannato all'ergastolo per uno dei gravi delitti di cui all’art. 4-bis o.p. - tra i quali figura quello di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p. - e non collabori con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter o.p. 

Quest’ultima disposizione, in particolare, definisce come persone che collaborano con la giustizia coloro che «anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati».

In assenza di collaborazione, gli ergastolani non possono accedere  ad una serie di benefici penitenziari, quali il lavoro all'esterno, i permessi premio, le misure alternative alla detenzione e la liberazione condizionale.

Tali preclusioni non si verificano nel caso della c.d. collaborazione impossibile ovvero quando, ex art. 4-bis co. 1-bis, o.p., i fatti e le responsabilità sono già stati accertati rendendo così «comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia».

Né i predetti effetti negativi si determinano nell'ipotesi della c.d. collaborazione irrilevante che ricorre quando l’ergastolano in ragione «della limitata partecipazione al fatto criminoso» non è in grado di rivelare informazioni utili.

Soltanto in questi due casi l’ergastolano può aspirare ai benefici penitenziari anche in assenza di collaborazione purché «siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».

Al di fuori di tali situazioni, egli per essere ammesso ai benefici ha una sola possibilità e cioè quella di collaborare con la giustizia. 

Tuttavia, l’opzione legislativa di porre l’ergastolano di fronte all'alternativa di collaborare oppure di vedersi negata qualsiasi misura premiale, è da tempo oggetto di critiche che si levano da più fronti.

In primo luogo appare discutibile far coincidere la mancata collaborazione con una presunzione di pericolosità sociale dell’ergastolano, posto che il silenzio può essere dovuto al fondato timore di una ritorsione.

Inoltre, si è osservato che la collaborazione è una scelta processuale talvolta legata a motivi di mera opportunità, mentre la decisione di non coinvolgere terze persone dopo decenni dai fatti, per ragioni di umanità, potrebbe apparire espressione di una scelta morale.

In definitiva, per il solo fatto di collaborare l’ergastolano non prova automaticamente il proprio ravvedimento e, per converso, le ragioni che inducono il medesimo a rifiutare la collaborazione non necessariamente sono sintomatiche di un legame ancora attuale con la criminalità.

A ciò si aggiunga, su un piano più generale, che prospettare al detenuto il carcere a vita non può che disincentivarlo a perseguire qualsiasi percorso di riabilitazione. In pratica, la carcerazione tombale costituisce la negazione stessa della rieducazione del condannato posto che tale finalità deve mirare alla ricollocazione del reo in società e non alla sua costrizione perenne fra le mura del carcere.

In questo contesto si inserisce la vicenda di omissis, ergastolano, il quale, dopo ventisei anni di detenzione caratterizzati da una condotta ineccepibile, si è visto respingere la richiesta di un permesso premio e, successivamente, quella della liberazione condizionale a causa della sua mancata collaborazione.

Dopo un travagliato iter giudiziario, durante il quale il detenuto ha sempre  recisamente affermato che pretendere la sua collaborazione ai fini dei benefici premiali era incompatibile con la dichiarazione di innocenza da  lui sempre professata, della questione è stata investita la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Quest’ultima ha affermato che l’ergastolo, ove non sia contemplata una concreta possibilità di riduzione della pena decorso un certo periodo di detenzione, deve ritenersi contrario al principio della dignità umana di cui all’art. 3 Cedu.

Ciò premesso, ed è questo il punto, secondo la Corte europea la normativa italiana sotto questo profilo suscita perplessità.

Infatti, imporre al detenuto di collaborare per poter dimostrare di essersi dissociato dal proprio passato, impedisce di fatto all'ergastolano non collaborante di ottenere tale possibilità di riduzione.

La Grande Camera della Corte europea, chiamata a decidere sul ricorso promosso dal governo italiano contro la predetta sentenza, l’8 ottobre si è definitivamente pronunciata. L’attesa sentenza ha respinto il ricorso e criticato la previsione di un rigido automatismo in base al quale l’ergastolano che non collabora va aprioristicamente escluso dai benefici premiali.

Per i giudici di Strasburgo, i magistrati di sorveglianza devono poter valutare caso per caso se la mancata collaborazione è indice di una attuale vicinanza alla sfera criminale o se invece essa è dovuta a ragioni che non inficiano il giudizio positivo sul percorso penitenziario compiuto dal detenuto. Il legislatore italiano è dunque invitato a rivedere le norme in tema di ergastolo ostativo.

All'esito di tale sentenza, il tempo della carcerazione perpetua sembra essere ormai scaduto.

Avv. Lorena Puccetti   Foro di Vicenza


Altri in DIRITTO