La Corte Costituzionale conferma la legittimità delle norme sulla mediazione e ne sottolinea la specialità

di Avv. Andrea Melucco

Stampa la pagina
foto

La Corte Costituzionale, con sentenza 18 aprile 2019, n.97 ha ritenuto in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme che hanno reintrodotto la mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Si tratta, in particolare

  • dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che aveva inserito il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (la norma che prevede per quali materia la mediazione sia “obbligatoria” e regola le modalità di eccezione della improcedibilità: già comma 1 ante 2012)
  • dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28/2010 (la norma che prevede le sanzioni per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione: già comma 4 ante 2012)
  • del comma 2 del medesimo art. 84 e dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. 28/2010 (che prevede la esclusione dell’obbligo di procedere a mediazione per i procedimenti di ingiunzione, prima della conclusione della fase sommaria del giudizio di opposizione).

 Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso dal Tribunale di Verona con ordinanze del 30 gennaio e del 23 febbraio 2018, esaminate congiuntamente dalla Corte.

Il Giudice rimettente aveva lamentato: la insussistenza delle condizioni di necessità ed urgenza per provvedere con decreto legge, visto anche il differimento dell’entrata in vigore della norma ; la violazione del principio di uguaglianza, tra mediazione e negoziazione assistita.

La negoziazione non è condizione di procedibilità per i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, neanche una volta esaurita la fase sommaria. Nel caso di specie la Corte ritiene infondata la censura in quanto il disposto differimento delle norme trova fondamento nell'esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla.

Sotto un secondo profilo, la Corte ritiene inammissibile la questione relativa all'entrata in vigore tardiva delle norme. Osserva infatti la Consulta che i processi a quibus sono stati iscritti successivamente al periodo in cui venne disposto il cennato differimento: avendo esaurito la propria efficacia al momento in cui viene in rilievo la questione, non può trovare applicazione nel giudizio di merito e, per conseguenza, non può essere oggetto di questione incidentale di legittimità costituzionale.

Con riferimento alla terza questione proposta (la legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude l’obbligatorietà della mediazione, limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti per ingiunzione, la Corte la ritiene parimenti infondata.

Richiamata la natura comune degli istituti “diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale […] riconducibili alle «misure di ADR (Alternative Dispute Resolution)» (sentenza n. 77 del 2018)” e la comune funzione di “condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva”, la Corte costituzionale osserva che “a fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso. La Corte evidenzia la peculiarità del ruolo del mediatore (e le garanzie di imparzialità che deve assicurare, rafforzate da uno stringente regime di incompatibilità prevista delle norme) per giustificare la eterogeneità che caratterizza i due istituti.

Nella mediazione il compito di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale mentre nella negoziazione dai difensori delle parti.

Pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame sono caratterizzati da una evidente disomogeneità.

Ad avviso della Corte la evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto esclude che ricorra alcuna violazione dell’art. 3 Cost., non apparendo riservato irragionevolmente un trattamento differenziato alla mediazione.

Al contrario, l’evidenziata differenza tra gli istituti conferma la ratio che sostiene il diverso regime giuridico: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, allorché – essendo già introdotto il giudizio – appare inutile imporre una fase di confronto rimessa esclusivamente ai rispettivi difensori.

È un tema ancora nuovo, legato alla necessità di sistematizzare e coordinare gli istituti e la pronuncia in esame, laddove evidenzia (al fine di esaltare) le specificità, anziché seguire la formalistica censura del rimettente, si segnala quale utili fondamenta sulla quale proseguire nella edificazione di un sistema moderno, efficiente e coordinato di ADR.

Avv. Andrea Melucco - Foro di Roma


Altri in DIRITTO