Imputabilità dei minori a dodici anni: le ragioni di un no

di Antonio Mazzone - Nicolino Zaffina

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Alla fanciullezza succede l'adolescenza, che tutti amano, tutti favoriscono, tutti proteggono. Ma donde viene all'adolescenza questa sua grazia? Da me (la follia) naturalmente, che le consento di vivere il meno saggiamente e quindi anche il meno affannosamente possibile. È innegabile che, non appena, diventati più grandi, cominciano ad imparare qualche cosa, per la pratica del mondo o per lo studio, a poco a poco gli adolescenti perdono le loro belle forme, la vivacità, la vigoria”.

Cosi Erasmo da Rotterdam, nel suo “Elogio della follia” (pubblicato per la prima volta nel 1511), descrive quella fase della vita che segna il passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza, indicando nella “follia” il fattore che consente ai fanciulli e agli adolescenti di vivere meno saggiamente e meno affannosamente, senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni.

Ed è proprio per questo motivo che, nel nostro ordinamento, i ragazzini fino a quattordici anni non possono essere ritenuti “responsabili” e non sono perseguibili penalmente (art. 97 c.p.) mentre, fra i quattordici e i diciotto anni, il minore è imputabile solo se il Giudice ha accertato che al momento del fatto aveva la capacità di intendere e di volere (art. 98 c.p.).

Ora, per l’esigenza di contrastare i fenomeni delle baby gang e della crescente “utilizzazione” da parte degli adulti di minori di quattordici anni per commettere reati, nel nostro Paese si è riaperto, anche in sede parlamentare, il dibattito sulla soglia della punibilità, proponendosi l’abbassamento a dodici anni del limite d’età per l’imputabilità.

A fronte di un’esigenza reale, nascente anche da un ritardo nella rielaborazione di un’efficace azione di contrasto alla criminalità mafiosa ed a quella predatoria, la risposta adeguata sul piano sociale e su quello giuridico non è però l’abbassamento del limite d’età per l’imputabilità.

Bisogna chiedersi, infatti, che ne sarebbe di un ragazzino di appena dodici anni sottoposto a trattamento sanzionatorio penale e quali “costi” avrebbe per lo Stato, una volta che si rinunci ad una prospettiva di un’effettiva rieducazione, il doversi occupare per tutta la sua vita in termini di trattamento repressivo di un dodicenne criminalizzato e, di conseguenza, de-socializzato.

Occorre anche chiedersi quale perito, nell'accertare secondo la previsione dell’art. 98 c.p. la capacità di intendere e di volere di un dodicenne, concluderebbe per la sua sussistenza. L’abbassamento a dodici anni costituirebbe, quindi, una misura del tutto inefficace sul piano della prevenzione e della repressione, di contro a costi sociali altissimi, proprio a causa della rinuncia ad un percorso di effettiva rieducazione.

La risposta va, quindi, ricercata nella sistematizzazione dell’azione statuale sul piano sociale, giuridico e organizzativo-strutturale, riflettendo sulla opportunità di creare dei pool specializzati all'interno delle Forze dell’Ordine, cui partecipino in modo significativo esperti in materia di psicologia e sociologia minorile, destinati alla prevenzione e repressione dei fenomeni di criminalità minorile. Occorre immaginare strutture di appoggio sul piano logistico mediante le quali attuare un effettivo coordinamento con le famiglie.

Sul piano penale, invece, l’attenzione potrebbe poi spostarsi sui genitori: sia attraverso l’applicazione della norma penale che prevede che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico d’impedire equivale a cagionarlo, sia mediante una ridefinizione normativa della responsabilità penale di chi utilizza minori per commettere reati, sia attraverso la creazione di un nuovo illecito colposo, imperniato sulla violazione del dovere di vigilanza, applicabile ai genitori in relazione ai reati commessi dai figli minori.

Sull'argomento risuona ancora l’autorevole monito di Papa Francesco che, già nell'ottobre del 2014, di fronte ad una delegazione internazionale di penalisti, ha lucidamente affermato che “gli Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono essere imputabili; essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per la vita e per i diritti degli altri”.

I bambini vanno educati, non arrestati.

Avv. Antonio Mazzone – Foro di Locri
Avv. Nicolino Zaffina - Foro di Lamezia Terme - Direttore Editoriale CFnews.it 


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