Il sistema italiano di indennizzo per le vittime di reati violenti è inadeguato rispetto al diritto UE

di Egidio Lizza

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La Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (di seguito, CGUE) con la sentenza del 16 luglio 2020, in causa C-129/19, Presidenza del Consiglio dei Ministri c. BV, ha stabilito che l’indennizzo per le vittime di reati violenti previsto dalla legge 7 luglio 2016 n. 122, non può essere ritenuto come «equo ed adeguato» ai sensi della direttiva 2004/80/CE. 

Il rinvio pregiudiziale era stato promosso dalla Corte di Cassazione (Ordinanza, III Sez. Civile, n. 2964/2019) nell'ambito di un giudizio che ha ad oggetto l’azione per risarcimento danni presentata da una cittadina italiana, vittima in Italia di un reato di violenza sessuale e impossibilitato ad ottenere, da parte dei diretti responsabili, il pieno ristoro del danno subito.

L’azione era dunque rivolta contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, responsabile dell’attuazione delle direttive dell’UE, sullo schema della responsabilità delineata, tra le altre, nelle note sentenze Francovich e Brasserie du Pecheur, per inadempimento degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE relativa all'istituzione di un meccanismo per indennizzare le vittime di reati intenzionali e violenti, quando sia impossibile conseguirlo direttamente dagli autori.

Come noto, il principio della responsabilità extracontrattuale dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell'UE prescrive un diritto al risarcimento, a titolo di siffatta responsabilità, quando, in presenza di una direttiva non self-executing, siano soddisfatte tre condizioni:

1) che la norma giuridica dell’UE violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli;

2) che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata; 3) che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi.  

Orbene, la direttiva 2004/80/CE stabilisce che, in favore della vittima di un reato violento che non abbia possibilità di conseguire il risarcimento dal suo autore, venga garantito dal Paese in cui il reato è stato commesso «un indennizzo equo ed adeguato».

In assenza di una legge di recepimento di tale obbligo, nel momento in cui veniva introdotto il contenzioso di cui alla pronuncia pregiudiziale in commento, la vittima aveva dunque azionato la responsabilità risarcitoria dello Stato inadempiente.

Nelle more del giudizio era poi intervenuta la legge 7 luglio 2016 n. 122, che prevede, in queste situazioni, un indennizzo forfettario di €. 4.800 in favore della vittima di stupro. Tale indennizzo diviene di €. 7.200 in caso di morte.

La Corte di Cassazione pone alla CGUE due questioni, ovvero se l’obbligo comunitario di previsione dell’indennizzo valga solo in favore di soggetti transfrontalieri od anche per i residenti in Italia e se gli importi fissati nella legge italiana possano ritenersi un «indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

La CGUE ritiene innanzitutto che il beneficio debba essere previsto per chiunque subisca un tale tipo di reato sul suolo del Paese membro ed, in effetti, al riguardo, era parso facilmente risolvibile, in base alla mera lettera della direttiva 2004/80/CE, il dubbio pur sollevato dagli Ermellini.

Sul secondo aspetto, la CGUE, pur ritenendo che l’indennizzo «equo ed adeguato», di cui alla direttiva 2004/80, non debba necessariamente corrispondere al risarcimento del danno e che gli Stati membri godano al riguardo di un margine di discrezionalità nel determinarlo, purtuttavia, qualora esso sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime e non rappresenti quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito, come nel caso dell’indennizzo previsto dalla legge italiana per le vittime di violenza sessuale (ritenuto dalla CGUE tra quelli cui conseguono i danni più gravi), esso finisce per contrastare con la direttiva 2004/80/CE. 

Le vittime di reati violenti e - bisogna ritenere, in base ad un’analisi delle rilevante disciplina nazionale ed euro-unitaria - i loro familiari, che ne abbiano subito un danno, data la accertata incompatibilità della legge italiana rispetto alle prescrizioni delle conferenti direttive dell’UE, ricorrendo le condizioni previste dalle medesime direttive ed in mancanza di indennizzo satisfattivo erogato dagli uffici italiani preposti, potranno agire nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l'inadeguata trasposizione del diritto comunitario e la conseguente responsabilità risarcitoria, fintantoché non venga istituito un rimedio compatibile con il diritto unionale. 

Sotto il profilo della illegittimità della legge nazionale, sebbene non esaminate dalla sentenza che ha concluso il rinvio pregiudiziale in argomento, rilevano peraltro ulteriori incompatibilità rispetto alle direttive dell’UE, nella misura in cui quest’ultima esige che il beneficio sia concesso a tutte le vittime di reati intenzionali violenti, senza affatto selezionarli in base alla propria capacità reddituale, come viceversa fa la normativa interna. 

L’auspicio è, dunque, quello di un totale ripensamento della disciplina nazionale sugli indennizzi per le vittime dei reati violenti, apparsa ampiamente incongrua rispetto alle prescrizioni dell’Unione Europea e, ad onor del vero, poco consona di per sé a regolamentare le delicatissime questioni discendenti dal patimento di un tale tipologia di reati.

Avv. Egidio Lizza Foro di Roma


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