Il Consiglio di Stato conferma la natura privata delle Casse professionali

di Marcello Bella

Stampa la pagina

In particolare, il Supremo Consesso amministrativo, riformando la sentenza del T.A.R. Lazio appellata (n. 7428/2014), ha affermato che la definizione di ente pubblico riferita alle Casse privatizzate è smentita dall’iscrizione dell’ente (Cassa dei ragionieri e periti commerciali, n.d.r.) tra quelli che il d.lgs. n. 509 del 1994 assoggetta a trasformazione in persone giuridiche private e non può rilevare, a tal fine, l’inclusione nel conto consolidato elaborato dall’Istat ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. L’inclusione nell’elenco elaborato dall’Istat, in buona sostanza, risponde ad una schematizzazione “necessitata” in quanto conforme a logiche di “tipizzazione” richieste dalla normativa comunitaria, ma non può inficiare la natura privata degli enti ivi inclusi, né, tanto meno, la loro autonomia.
Lo stesso Consiglio di Stato, recentemente, aveva già chiarito che la trasformazione operata dal d.lgs. n. 509 del 1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti previdenziali privatizzati, che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico (Sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014). Ed è con riferimento a tali attività di carattere istituzionale che si esplica il potere di vigilanza ministeriale e il controllo della Corte dei Conti.
In sostanza, ciò che ha rilievo pubblicistico è l’attività di rilievo costituzionale (la previdenza e l’assistenza, art. 38 della Costituzione) degli enti previdenziali privatizzati: ma ciò “non impinge sulla natura della loro personalità giuridica, che il d.lgs. n. 509 attrae inequivocabilmente nella sfera privatistica”.


Il Supremo giudice amministrativo, invero, si pronuncia, in particolare, sulla procedura di dismissione del patrimonio immobiliare della Cassa dei ragionieri e periti commerciali e, a tale proposito, precisa che “la vendita del patrimonio immobiliare rientra nella sfera di capacità propria della persona giuridica privata e non ha attinenza con l’attività previdenziale in forza della quale alla Cassa è riconosciuto rilevo pubblicistico”.
In conclusione, la vendita del patrimonio immobiliare da parte delle Casse, enti di diritto privato quanto alla soggettività giuridica, rientra nella loro sfera di capacità negoziale privata. Il Consiglio di Stato conclude quindi la sua disamina affermando testualmente che “l’attività di vendita dell’immobile da parte di un soggetto giuridico dotato di personalità di diritto privato costituisce esplicazione della corrispondente capacità e rientra, quindi, nell’ambito di analisi della giurisdizione ordinaria” e non, dunque, della giurisdizione amministrativa.
Da un certo punto di vista, la pronuncia del Consiglio di Stato non apporta novità significative, ma ribadisce quanto già affermato in passato dalla giurisprudenza di legittimità della Cassazione, che ha esternato i principi di autonomia della Cassa Forense, derivanti dalla sua natura privatistica.
Si rammenta, in proposito, che la Cassa Forense, a seguito della trasformazione in fondazione, operata in esito al d.lgs. n. 509/94, deve ritenersi soggetta alla disciplina di cui agli artt. 12 e ss. del codice civile – come previsto espressamente dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo -, che ne prevede l’autonomia statutaria e di auto-organizzazione.
L’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 509/94 - che ha attuato la delega per il riordino o la soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza, secondo il disposto dell’art. 1, comma 32, della L. n. 537/93 -, prevede che gli enti privatizzati hanno “autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto, in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta” e i successivi artt. 3, comma 2, e 1, comma 4, stabiliscono che le Casse, proprio in virtù e nell’esercizio di tale autonomia, possono adottare propri regolamenti e statuti, con l’unico limite del rispetto di determinati criteri che ne delimitano l’operatività.


Da quanto sopra si evince, quindi, che gli enti privatizzati hanno poteri di autonomia non soltanto in relazione agli investimenti e alla gestione ed organizzazione complessiva dell’ente, ma anche in ordine alle contribuzioni pretese ed alle prestazioni erogate.
Quanto detto trova conferma nell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995 n. 335, ove si stabilisce che, per “assicurare l’equilibrio di bilancio”, gli Enti previdenziali privati possono adottare tutti i necessari “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”.
Ed invero, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 15/1999, ha comunque riconosciuto la piena autonomia degli enti privatizzati, osservando che “la garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile degli enti privatizzati […] non attiene tanto alla struttura dell’ente, quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni” e precisando ancora che è pienamente ammissibile, nel rispetto della delega conferita dalla legge n. 537/93, “l’eventuale indicazione di limiti entro i quali l’autonomia debba essere esercitata”; la Consulta ha affermato, inoltre, che i limiti individuati dal decreto legislativo, in attuazione della delega, riguardano soltanto “lo statuto che deve essere adottato dai competenti organi degli enti contestualmente alla trasformazione dell’ente in associazione o fondazione” e tale previsione “non tocca minimamente, quindi, le successive vicende della vita dell’ente”, che può, pertanto, nel corso del tempo, modificare lo statuto ed adottare propri regolamenti.
Si rileva, in proposito, che il Consiglio di Stato, nel parere n. 1530/97 - parere richiesto proprio dalla Cassa Forense in ordine al valore precettivo o meramente programmatico della disposizione di cui all’art. 3, comma 12, della legge n. 335/95, in materia di determinazione della base pensionabile in ipotesi di anzianità inferiore a quindici anni, maturata presso gli enti previdenziali privatizzati –, ha rilevato che la norma in esame ha riconosciuto a tali enti “una sfera di autonomia senza dubbio maggiormente ampia rispetto alle previsioni già contenute nel D.lgs. n. 509/94”.


Invero, come innanzi precisato, autorevole conferma di quanto sopra esposto circa l’autonomia e natura privata della Cassa Forense e circa la sua discrezionalità nell’adozione dei provvedimenti più opportuni in materia previdenziale, viene dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24202/2009, resa in una vertenza avente come parte la Cassa Forense (confermata da Cass. n. 12209/2011), ha affermato che gli enti previdenziali privatizzati sono provvisti di autonomia che li abilita ad abrogare o derogare disposizioni di legge e ad adottare provvedimenti in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, incidendo sulla materia contributiva, tacitamente abrogando la previsione in senso contrario di precedente disposizione di legge (in senso conforme, Corte d’Appello di Roma, n. 7598/2012; Corte d’Appello di Salerno, n. 464/09; Corte di Appello di Genova n. 707/2011; Trib. di Palermo n. 1064/2012; Trib. Trani n. 4841/2011; Trib. Genova n. 20/2010; Trib. di Milano, n. 3380/09; Trib. di Santa Maria Capua Vetere, n. 331/09; Trib. Milano, n. 3357/2008 e Trib. Catanzaro, n. 2097/2008; Tribunale di Salerno sent. n. 3818/09).

Avv. Marcello Bella – Dirigente dell’Ufficio legale di Cassa Forense

 

 

 


Altri in DIRITTO