I decreti attuativi del Jobs Act accelerano il cammino verso la parità?

di Giovanna Fantini

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In sede di approvazione in via definitiva del decreto attuativo del Jobs Act inerente le misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro a norma dell’articolo 1, commi 8 e 9 della legge n. 183 del 2014 il Consiglio dei Ministri è infatti intervenuto prevalentemente, sul testo unico a tutela della maternità (n. 151 del 26 marzo 2001), oltre a disciplinare misure volte a sostenere le cure parentali, anche in settori, non ancora disciplinati per legge, su cui si era già pronunciata la Corte Costituzionale. Il decreto interviene innanzitutto per rendere più flessibile il congedo obbligatorio che viene esteso a casi particolari come quelli di parto prematuro o di ricovero del neonato. I giorni di astensione obbligatoria non goduti prima del parto potranno essere aggiunti al periodo di congedo di maternità post partum, anche quando la somma dei due periodi superi il limite complessivo dei 5 mesi, mentre laddove il neonato sia ricoverato si potrà usufruire di una sospensione del congedo di maternità, con una certificazione medica che attesti il buono stato di salute della madre. In entrambi i casi si vuole favorire il rapporto madre-figlio, senza rinunciare alle tutele della salute di entrambi. L'arco temporale di fruibilità del congedo parentale viene esteso dagli attuali 8 anni di vita del bambino a 12. Quello parzialmente retribuito (30%) viene portato dai 3 anni di età del bambino a 6 anni; quello non retribuito dai 6 anni di vita del bambino ai 12 anni. Altrettanto vale per i casi di adozione o di affidamento, per i quali la possibilità di fruire del congedo parentale inizia a decorrere dall'ingresso del minore in famiglia, pur restandone invariata la durata complessiva.


I congedi di paternità, vengono estesi a tutte le categorie di lavoratori per cui la possibilità di usufruire del congedo da parte del padre, nei casi in cui la madre sia impossibilitata a fruirne per motivi naturali o contingenti, non è più limitata ai soli lavoratori dipendenti come attualmente accade. Le tutele previste per i genitori naturali sono state estese ad adozioni e affidamenti, per tutelarne la genitorialità. Oltre alle modifiche a tutela della maternità, nel decreto sono state introdotte due disposizioni innovative in materia di telelavoro e di donne vittime di violenza di genere. La norma sul telelavoro prevede benefici per i datori di lavoro privati che vi facciano ricorso per venire incontro alle esigenze di cure parentali dei loro dipendenti. La seconda norma introduce il congedo per le donne vittime di violenza di genere. Sul sito del governo la norma viene così sintetizzata: “Il congedo per le donne vittime di violenza di genere ed inserite in percorsi di protezione debitamente certificati prevede la possibilità per queste lavoratrici dipendenti di imprese private di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo l’intera retribuzione, la maturazione delle ferie e degli altri istituti connessi. Viene anche introdotto il diritto di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a richiesta della lavoratrice – con la specifica – che collaboratrici a progetto hanno diritto alla sospensione del rapporto contrattuale per analoghi motivi sempre per un massimo di tre mesi”. Si tratta di una norma importante perché è la prima volta che una disposizione riconosce uncongedo retribuito di tre mesi alle donne vittime di violenza, ma in concreto poco efficace perché le donne vittime di violenza hanno raramente un lavoro stabile che consenta loro di beneficiare di una legge così concepita. Come rileva l’Istat, sono solo il 7 per cento quelle che trovano il coraggio di denunciare soprattutto se non eclatante, e tra queste la percentuale di quelle con un’occupazione stabile è molto bassa. L’esperienza conferma l’assoluta difficoltà per le donne di raccontare il proprio dramma alle autorità, così come indubbiamente accadrà anche di fronte al proprio datore di lavoro.


Senza contare poi il timore circa la diffusione della notizia all’interno delle azienda in cui la privacy non è sempre garantita. Nella contingente situazione economica quelle che lavorano in piccolissime aziende, avranno poi paura di chiedere congedi ai propri datori di lavoro. Il problema è sempre che si vogliono fare le riforme a costo zero, perché altrimenti sarebbe stato preferibile rifinanziare il Piano nazionale antiviolenza della Presidenza del Consiglio per cui continuano a mancare i fondi, ovvero prevedere un’altra serie di sostegni per la famiglia, come asili e scuole che non chiudano il 10 giugno lasciando ai genitori la difficile pratica di dover collocare i figli presso centri estivi, nonni e altre soluzioni ingegnose. Va poi considerato che di norma una donna con un lavoro è una donna emancipata sia dal punto di vista economico che relazionale. La lavoratrice è più facilmente in possesso degli strumenti per liberarsi dalla violenza, diversamente dalla maggior parte delle vittime di violenza, che normalmente vivono un rapporto di dipendenza con il proprio aguzzino, di cui la norma in esame non tiene minimamente conto.

Avv. Giovanna Fantini – Delegata di Cassa Forense

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