Stalking, reato autonomo in caso di omicidio aggravato

di Francesca Coluzzi

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La prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza N. 20786/2019 del 12.4.2019, ha accolto il ricorso con cui il Procuratore Generale in un processo per omicidio pluriaggravato, stalking, distruzione di cadavere e danneggiamento, deduceva il vizio di violazione di legge, in cui era incorsa la Corte di Assise di Appello di Roma, nel ritenere il delitto di atti persecutori, di cui era stata accertata la sussistenza, assorbito in quello di omicidio

A sostegno della propria tesi la Corte di Assise aveva richiamato la disposizione normativa di cui all’art. 84, co. 1, c. p. che disciplina il reato complesso, nonché le pronunce della Corte di Cassazione in materia di violenza sessuale, ritenendo applicabile la norma su richiamata  poiché le condotte persecutorie contestate, sia a titolo di reato che di circostanza aggravante, erano relative al medesimo lasso temporale e poiché l’azione lesiva dell’autore nel commettere il reato di stalking e quello di omicidio, era diretta allo stesso interesse giuridico e al medesimo oggetto materiale. 

Di diverso avviso la Suprema Corte la quale, nelle motivazioni depositate in data 14.5.2019, ha precisato che nella costruzione della aggravante di cui all’art. 576, n. 5.1., c.p. non a caso il legislatore ha posto l’accento sulla mera identità del soggetto autore di atti persecutori e dell’omicidio, laddove, invece, per l’aggravante di cui al precedente n. 5 del medesimo articolo su richiamato, ha, invece,  previsto una formulazione lessicale completamente differente, orientata sui fatti: l’ aggravante nel primo caso è di natura soggettiva e non appartiene alla condotta e alle sue modalità di commissione e, pertanto, a esso non può essere applicata la norma sul reato complesso che regola il caso dell’interferenza di fattispecie e, quindi, i profili oggettivi. 

Inoltre, precisa la Suprema Corte, il reato di atti persecutori è un reato di natura abituale e a condotta tipizzata, mentre l’omicidio è un reato istantaneo casualmente orientato e, pertanto, in assenza di affinità strutturale tra le fattispecie, non si verifica l’assorbimento. 

La sentenza impugnata è stata annullata con rinvio alla Corte di Assise di Appello di Roma in diversa composizione, al fine di decidere solo in relazione al trattamento sanzionatorio per il reato di atti persecutori, ai quali viene riconosciuta valenza di reato autonomo.

Lo scorso 11 settembre il Collegio della Seconda Sezione bis ha conseguentemente condannato l’imputato alla pena di 4 anni di reclusione per il reato di stalking e rideterminato la pena finale nell'ergastolo.

Queste sentenze, innovative e rivoluzionarie, hanno il merito di avere riconosciuto la sussistenza di un tipo di violenza psichica che, in quanto invisibile, di rado viene presa in considerazione e adeguatamente sanzionata laddove all'interno del rapporto uomo-donna si manifestino dinamiche di persecuzione, di possesso e di dominio padronale, che nulla hanno a che fare con il sentimento della gelosia e che riducono la vittima, come è accaduto nel caso di specie, da persona a “oggetto”, giungendo, nel loro culmine, all’omicidio.

Inoltre nel sanzionare autonomamente il reato di atti persecutori rispetto all'omicidio aggravato dallo stesso reato, si è posto l’accento proprio su quella dinamica persecutoria e di sopraffazione in cui si era strutturata la relazione con la vittima, che  sempre, nelle vicende giudiziarie come quella che ci occupa, è l’anticamera e la  matrice dell’omicidio stesso.

Del resto a ragionare diversamente, come aveva fatto la Corte di Assise di Appello in prima battuta, si giunge a un risultato opposto rispetto a quella che era l'intenzione del legislatore, non solo in termini di inasprimento di pena, ma anche e proprio perché si vanno a snaturare i principi ispiratori della norma che ha introdotto in Italia la legge sullo stalking, sia nella originaria formulazione che nelle successive modifiche; principi volti a recepire la pregnante esigenza, già emersa in stati europei ed extraeuropei, di dare una risposta sanzionatoria e una tutela autonoma a un fenomeno in costante crescita e di adeguare la normativa italiana ai parametri della Convenzione di Istanbul.

Avv. Francesca Coluzzi Delegato Cassa Forense Lazio


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