SOCIETÀ DI PERSONE: IL BENEFICIARIO DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO NON PUÒ RICOPRIRE LA CARICA DI SOCIO

di Alessandro Garziera

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Compatibilità tra ADS e impresa: dubbi e interpretazioni

Può il soggetto beneficiario di amministrazione di sostegno, già socio di una società in nome collettivo, continuare a ricoprire tale carica?

Una recente ordinanza del Giudice Tutelare di Vicenza ha risposto negativamente, rilevando espressamente che una persona sottoposta alla misura di amministrazione di sostegno (ADS) non può essere socia di una società di persone.

La decisione si inserisce nel più ampio dibattito in merito alla compatibilità tra la misura di ADS e l’esercizio dell’impresa commerciale da parte del beneficiario (per il tramite dell’ADS), su cui ci sono ancora numerosi dubbi interpretativi.

La disciplina sull’amministrazione di sostegno prevede infatti, all’art. 411 - co. 1 c.c., l’applicabilità (in quanto compatibili) di varie norme dettate per le diverse categorie della tutela e della curatela, senza tuttavia un richiamo espresso alle disposizioni che regolano l’esercizio di un’impresa commerciale (e segnatamente gli artt. 371, c. I, n. 3 e co. II c.c. in materia di continuazione dell’esercizio d’impresa da parte del minore e 397 c.c. in tema di autorizzazione dell’emancipato all’esercizio di un’impresa commerciale).

Da qui il dubbio se la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno possa esercitare un’impresa commerciale, nel caso di specie risolto negativamente con riguardo alle società di persone in ragione delle peculiarità che caratterizzano questo tipo di società.

I fatti

Il provvedimento del Giudice Tutelare è intervenuto a valle di un’istanza presentata dall’ADS per l’autorizzazione al compimento di un atto di straordinaria amministrazione relativo (non al patrimonio del beneficiario quale persona fisica, bensì) alla gestione della società in nome collettivo di cui il beneficiario era socio e amministratore (nella specie, si trattava della vendita di un macchinario di cui la società era proprietaria).

La stringata motivazione dell’ordinanza a corredo della decisione di rigetto del GT indica che in una società di persone l’ADS di un socio non può essere autorizzato a compiere in nome e per conto del beneficiario atti gestori di natura straordinaria in quanto in quel tipo di società il socio risponde personalmente e illimitatamente delle obbligazioni sociali e ritenendo quindi che in questi casi va chiesta la liquidazione del socio consensualmente agli altri soci.

Recesso unilaterale e autorizzazione del Giudice Tutelare

I problemi giuridici sottesi alla fattispecie de qua

L’ordinanza del GT ha sollevato dubbi in ordine alla modalità di uscita del socio beneficiario di ADS, soprattutto nei casi come quello di specie di società di persone composte da due soli soci.

Sul punto, appare fortemente dubbio che l’ADS abbia il potere di recedere unilateralmente dalla società in nome e per conto del socio: il recesso, infatti, determinando la cessazione della qualità di socio, è un atto di gestione della partecipazione sociale di natura straordinaria, che a sua volta richiederebbe una autonoma autorizzazione del GT, che però sarebbe radicalmente preclusa secondo quanto indicato nell’ordinanza dal GT.

Resta il fatto che il GT ha dichiarato l’impossibilità per il socio beneficiario di ADS di ricoprire tale carica all’interno di una società di persone, rendendo di fatto l’applicazione di tale misura una causa di esclusione del socio assimilabile per analogia a quelle previste dall’art. 2286 co. I (“l’esclusione di un socio può avere luogo (…) per l’interdizione, l’inabilitazione …”) e/o co. II (“il socio che ha conferito nella società la propria opera (…) può altresì essere escluso per la sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita”).

L’invito formulato dal GT all’ADS a chiedere la liquidazione della partecipazione sociale consensualmente agli altri soci sembrerebbe avvalorare tale lettura, nella misura in cui in presenza di una causa di esclusione l’art. 2287, co. I, c.c. prevede che quest’ultima sia oggetto di delibera votata dagli altri soci a maggioranza.

Tuttavia, nella fattispecie de qua, la società in questione era composta da due soli soci, per il qual caso l’art. 2287, co. III, c.c. prevede che “l’esclusione di uno di essi è pronunciata dal tribunale, su domanda dell’altro”.

Un caso di studio per fare chiarezza su ADS e società

La soluzione adottata

Nel tentativo di aderire il più possibile all’indicazione fornita dal GT, nel caso di specie è stata adottata una soluzione terza assimilabile ad una sorta di recesso consensuale (al di fuori dei presupposti ammessi dalla legge e/o dai patti sociali), figura più volte ammessa dalla giurisprudenza (si veda di recente Tribunale Napoli, Sez. spec. in materia di imprese, 15/03/2023) e ritenuta possibile anche dai notai (si veda la massima n. 54/2015 del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato).

Il socio superstite e l’ADS hanno quindi negoziato un accordo di recesso consensuale tramite cui hanno determinato, tra l’altro, il valore della quota liquidabile sulla base dei più recenti dati di bilancio della società. L’accordo è stato quindi sottoposto al GT affinché ne autorizzasse la sottoscrizione da parte dell’ADS.

Controllata la correttezza dei dati di bilancio e quindi la congruità del valore della partecipazione, il GT ha quindi autorizzato l’ADS a sottoscrivere l’accordo e a incassare in nome e per conto del beneficiario le somme dovute a titolo di liquidazione, così riconoscendo di fatto la bontà della soluzione consensuale adottata.

Ai fini di pubblicità legale dell’accordo, è importante sottolineare che nonostante la liquidazione del socio avvenga sotto l’egida del GT, non è sufficiente presentare l’autorizzazione di quest’ultimo per ottenere dalla Camera di Commercio la trascrizione sul registro delle imprese della cessazione del socio uscente dalla relativa carica.

Implicando quest’ultima una necessaria modifica dei patti sociali, è infatti richiesto che l’uscita del socio venga attestata da atto pubblico notarile con il quale viene modificato lo statuto della società poi comunicato al registro imprese per la relativa trascrizione.

Infine, nei casi come quello di specie di società di persone composte da due soli soci, una volta cessata la partecipazione del socio uscente viene meno la pluralità dei soci. Tale eventualità viene considerata dall’art. 2272, n. 4 del codice civile come una causa di scioglimento della società qualora la pluralità non venga ricostituita nel termine di sei mesi.

Nel momento in cui la cessazione della partecipazione diventa quindi effettiva (ovverosia quando quest’ultima viene iscritta nel registro delle imprese), la società potrà continuare a operare pienamente solo per sei mesi, termine entro cui il socio superstite potrà decidere di ricostituire la pluralità dei soci facendo entrare in società un terzo, trasformare o sciogliere la società (quest’ultima alternativa interverrà d’ufficio su impulso della Camera di Commercio in caso di mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel suddetto termine di sei mesi).


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