Nell’inerzia del Parlamento, sul fine vita legifera la Corte Costituzionale

di Lorena Puccetti

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Sollecitata dalla Corte d’Assise di Milano ad esprimersi sulla costituzionalità dell’art. 580 c.p., nell'ambito del procedimento penale instaurato a carico di Marco Cappato per l’aiuto al suicidio prestato a Fabiano Antoniani, con l’ordinanza 207 del 23.10.2018 la Corte Costituzionale aveva rinviato all'udienza del 24.9.2019 la trattazione delle questioni sollevate.

Tale ordinanza, peraltro, nel motivare il rinvio aveva puntualizzato alcuni aspetti problematici.

In estrema sintesi, la Consulta aveva escluso in linea generale l’incompatibilità con la Costituzione dell’incriminazione dell’aiuto al suicidio, apparendo anzi conforme ai principi costituzionali il divieto di condotte che spianino indiscriminatamente la strada a scelte suicide.

Tuttavia, come precisato dall'ordinanza, la lettura dell’art. 580 c.p. non può prescindere dall'attuale quadro normativo.

In particolare, si era osservato che il principio di autodeterminazione, di rango costituzionale, ha ispirato l’entrata in vigore della l. 219/2017, la quale riconosce ad ogni persona il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario anche se da questo ne derivi la morte. Coerentemente, secondo l’ordinanza, il medesimo principio dovrebbe consentire che il malato, affetto da  patologia irreversibile che gli provochi sofferenze intollerabili, possa accedere a trattamenti diretti a causargli la morte al fine di evitare le sofferenze conseguenti al rifiuto di trattamenti di sostegno vitale quali la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione artificiale.

Svolta tale premessa, in un passaggio chiave dell’ordinanza, si era sottolineato che il compito di legiferare resta affidato al Parlamento, spettando alla Corte Costituzionale soltanto il compito di verificare la compatibilità con i principi costituzionali delle scelte già operate dal legislatore.

La Consulta aveva dunque sollecitato il Parlamento a disciplinare il diritto del soggetto che si trovi in determinate condizioni di ottenere la somministrazione di un farmaco atto a provocarne la morte, suggerendo di inserire l’intervento legislativo nel contesto della citata l. 219/2017. Ma l’invito a legiferare non è stato raccolto. Pertanto, all'udienza del 24.9.2019, la Corte Costituzionale ha riesaminato le questioni di legittimità costituzionale sull'art. 580 c.p. con riferimento all’immutato panorama legislativo.

Questa volta, però, la Consulta non si è limitata ad una valutazione di legittimità costituzionale, ma si è spinta ad affermare che non è punibile «ai sensi dell’art. 580 c.p. chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

Nel comunicato diramato in attesa del deposito della sentenza, la Corte Costituzionale ha precisato che la non punibilità è subordinata «al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda (articoli 1 e 2 della legge 207/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN».

E ha altresì sottolineato che le specifiche condizioni e modalità procedimentali che determinano la non punibilità vanno desunte da «norme già presenti nell'ordinamento».

In buona sostanza, pur ribadendo la necessità di un «indispensabile intervento del legislatore», la Consulta ha già provveduto a tracciare il solco della non punibilità dell’aiuto al suicidio.

La sentenza in esame, da un lato suscita perplessità per il ruolo sostanzialmente legislativo che la Corte ha assunto surrogandosi al Parlamento, e al contempo appare foriera di molteplici incertezze applicative in relazione agli esatti contorni di questa nuova causa di non punibilità. E ciò proprio perché, per il momento, non vi è ancora una specifica normativa sulla medicalizzazione del suicidio assistito. Senza contare che l’aspetto della non punibilità ai sensi dell’art. 580 c.p. di certo non esaurisce i profili problematici sottesi ad una così delicata materia.

In primo luogo, non appare rinviabile la regolamentazione dell’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte del medico cui sia richiesto di somministrare il farmaco letale. In conclusione, ora più che mai è necessario che intervenga il Legislatore, riappropriandosi di quella discrezionalità politica che la Consulta stessa ha riconosciuto come prerogativa esclusiva del Parlamento.  

Avv. Lorena Puccetti - Foro di Vicenza

 


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