Il montante ai fini della pensione contributiva.

di Marcello Bella con la collaborazione di Gioia Rita Telli

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Il problema della legittimità del computo del trattamento pensionistico sulla base dei contributi versati fino al tetto – con riferimento all’ipotesi della pensione retributiva - è già stato vagliato sotto il profilo della pretesa incostituzionalità dell’art. 2 della legge 576/80 dalla sentenza della Corte Costituzionale 4 maggio, 1984, n. 132. Infatti, la Corte ha dichiarato infondate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10, I comma, lett. b), e 2, II e V comma, legge n. 576 del 1980, nella parte in cui prevedono che i professionisti produttori di redditi professionali eccedenti la fascia dei quaranta milioni di lire (costituente il tetto dell’epoca) debbano fruire di una pensione commisurata


ai soli redditi rientranti nella predetta fascia, pur avendo versato (anche se in misura ridotta) i contributi relativi alla parte di redditi eccedente (cfr. C.Cost., sent. 4 maggio 1984, n. 132), statuendo che il versamento, da parte di tutti i professionisti iscritti alla Cassa, compresi i pensionati che conservino detta iscrizione, del contributo del 3%  è espressione del principio costituzionale di solidarietà di cui all’art. 38 Cost, che connota tutti i sistemi previdenziali categoriali e non rileva, pertanto, ai fini della determinazione dei trattamenti previdenziali dei singoli professionisti (nello stesso senso, cfr. Cass. Sez. Un. nn. 124 e 125 del 1988; Cass. Sez. Lav. n. 8947/04, n. 9498/03, n. 14191/01, n. 9300/96 e n. 5659/93).
Per quanto riguarda la legittimità della previsione del contributo di solidarietà – al quale non corrisponde la corresponsione di un corrispettivo trattamento pensionistico - alla luce del sistema contributivo istituito dall’art. 4 del Regolamento Generale della Cassa, si fa presente che l’art. 4 del Regolamento, nell’istituire la c.d. pensione contributiva, attiva uno specifico regime contributivo che determina in linea di principio una corrispettività fra trattamento contributivo e  trattamento previdenziale. Infatti, a fronte di una attività professionale ridotta nel tempo e di una contribuzione anche di soli 5 anni, prevede l’erogazione della prestazione previdenziale. Con ciò in assoluto allineamento con i principi della legge n. 335/95, in quanto la tendenziale corrispettività fra i contributi versati e la prestazione pensionistica eroganda viene comunque rispettata con riferimento alla quota contributiva del 10 % (oggi 13%).
Ed infatti, il disposto dall’art. 4 del Regolamento Generale della Cassa Forense (e successivamente l’art. 8 del Regolamento delle Prestazioni),  ripropone quanto previsto nella previgente disciplina normativa in sede di sistema pensionistico retributivo, chiarendo che  per la liquidazione delle pensioni “si considera solo la parte del reddito professionale soggetta al contributo di cui all’art. 10, primo comma, lettera a della legge n. 576/80”.



Le disposizioni sopra menzionate ripetono, pertanto, il meccanismo proveniente da precedente fonte primaria, e specificatamente dall’art. 2 della legge 576/80, prevedendo,  nell’ambito del contributo soggettivo, una quota (pari al 13% di uno specifico tetto reddituale) finalizzata alla determinazione del trattamento pensionistico da corrispondere agli iscritti ed una ulteriore e diversa quota (pari al 3% sul reddito eccedente), quale contributo solidaristico non utile per legge ai fini pensionistici.
In sostanza, anche in sede di riforma previdenziale forense e di  introduzione, da parte della Cassa, della pensione contributiva in ossequio alla riforma di cui alla l. n. 335/95, viene confermato il carattere solidaristico della quota contributiva del 3%, con la sua specifica esclusione dell’utilizzo ai fini pensionistici.
Le previste due quote contributive (13 % e 3%) risultano diversificate non tanto e non  solo nell’aliquota, quanto soprattutto nella finalità e tale principio sembrerebbe coerente anche con il sistema contributivo, non risultando in nessun caso in contrasto con lo stesso  la previsione di una diversa fonte di finanziamento per le prestazioni di natura non previdenziale.
In merito, recentemente, la legittimità di tale disposizione è stata confermata in giurisprudenza; infatti, la sentenza n. 1121 del 18/1/2006 resa dal Tribunale di Roma, ritiene  corretto: “ il calcolo della pensione sul contributo del 10% e non anche su quello del 3% eccedente il reddito di Euro 72.923,71 annuo”, poiché “ ha come contropartita il fatto che l’ente non eroga solo prestazioni pensionistiche agli iscritti ma anche prestazioni di natura assistenziale, e assicurazione per i grandi interventi chirurgici ed altre prestazioni aggiuntive come da regolamento per cui può l’ente stesso di conseguenza deliberare la riduzione della base contributiva di calcolo della pensione destinando il 3% del reddito oltre al 2% sul volume d’affari annuo di cui all’art. 11 l. n. 576 del 1980 ai suddetti scopi assistenziali”.



Nello stesso senso si è pronunciato anche il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3357/08, in vertenza nella quale gli eredi di un professionista – avendo ottenuto dalla Cassa la restituzione dei contributi soggettivi versati dallo stesso nella misura del 10% -, contestavano l’illegittimità dell’art. 4, comma 7, del Regolamento Generale della Cassa, nella parte in cui limita la restituzione ai superstiti dell’iscritto dei contributi soggettivi versati entro il tetto di cui all’art. 10, 1° comma, lett. a) della legge n. 576/80, sostenendo che tale regolamento non potesse abrogare ovvero derogare al dettato normativo di cui all’art. 21 della L. 576/80 che prevede la restituzione dell’intera contribuzione soggettiva. Nella detta vertenza, il Tribunale di Milano ha ritenuto legittima la modifica dell’art. 4 del Regolamento operata dalla Cassa, in linea con la riforma attuata dalla legge n. 335/95 e - tenuto conto del fatto che la pensione contributiva spettante all’iscritto sarebbe stata calcolata unicamente sui contributi soggettivi del 10% -, accertata l’insussistenza nel caso di specie del diritto a pensione indiretta in capo agli eredi, ha ritenuto legittimo il rimborso a questi ultimi dei soli contributi utili ai fini previdenziali, ossia appunto quelli versati nel limite del 10%, evidenziando, peraltro, che “il contributo del 3% rappresenta un contributo di solidarietà, in relazione al quale la Corte Costituzionale ha respinto ogni sospetto di contrasto con l’art. 3 della Costituzione, relativamente alla possibilità di un sperequazione a danno dei produttori di reddito professionale superiore ai 40 milioni di Lire, i quali versano contributi per la fascia eccedente senza un corrispondente aumento della pensione” e che “i contributi versati vengono utilizzati non solo per erogare le prestazioni previdenziali, ma anche quelle assistenziali ed altre prestazioni aggiuntive previste dal Regolamento”.



Si rileva, inoltre, che, in favore della legittimità della previsione del contributo di solidarietà del 3%, si è recentemente espresso – in una serie di vertenze nelle quali i professionisti contestavano la legittimità  dell’art. 10, comma 1, lettera b) della legge n. 576/80, nella parte in cui non fissa un limite massimo alla contribuzione dovuta a titolo solidaristico sui redditi prodotti oltre il tetto – il Tribunale di Milano (sentenze n. 4892/09, n. 5157/09, n. 1774/10, n. 2205/10).
Né peraltro, sull’argomento rileva, come si invoca da parte di alcuni iscritti, la sentenza della Corte di Cassazione n. 25030/09, poiché tale pronuncia riguardava il diverso caso di un professionista già pensionato di vecchiaia a carico della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti, il quale lamentava di aver subito una trattenuta sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà, ai sensi dell’art. 22 del regolamento di disciplina previdenziale della detta Cassa, sostenendo che la decurtazione di una pensione già a suo tempo quantificata non poteva rientrare nei criteri di determinazione della pensione che la legge n. 335/95 consentiva alle casse professionali di adottare al fine di assicurare gli equilibri di bilancio di cui all’art. 3, 12° comma, della legge n. 335/95, in virtù dell’autonomia riconosciuta dall’art. 2 del d. lgs. n. 509/94, nel rispetto del principio del pro rata.
La Corte di Cassazione, tenuto conto del fatto che l’autonomia sancita dalla predetta norma può esercitarsi solo nell’ambito dell’adozione di tipi di provvedimenti espressamente identificati in base al loro contenuto (di variazione delle aliquote contributive, di riparamentrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico) e, comunque, sempre nel rispetto del principio del pro rata, ha ritenuto che “gli enti previdenziali privatizzati non possono adottare – in funzione dell’obiettivo (di cui all’art. 3, 12° comma, della legge n. 335/95), di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni – atti o


provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano, comunque, una trattenuta sul detto trattamento, già determinato, in base ai criteri ad esso applicabili e, come tali, risultino peraltro incompatibili con il rispetto del principio del pro rata, essendo il principio stesso stabilito proprio “in relazione alle anzianità già maturate”, che concorrono, appunto, alla determinazione di quel trattamento ed oltrepassino, altresì il limite della ragionevolezza ledendo l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione, proporzionale alla quantità dei contributi versati”.
Si rileva, inoltre, che, dopo l’introduzione del sistema contributivo, anche l’INPS riscuote contributi a titolo solidaristico, che non rientrano, cioè, a far parte del montante contributivo individuale per la liquidazione della pensione. In particolare, si fa presente che l’art. 2, comma 18, della legge n. 335/95 prevede che “per i lavoratori, privi di anzianità contributiva, che si iscrivono a far data dal 1° gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie e per coloro che esercitano l’opzione per il sistema contributivo, ai sensi del comma 23 dell’art. 1, è stabilito un massimale annuo della base contributiva e pensionabile di Lire 132 milioni, con effetto sui periodi contributivi e sulle quote di pensione successivi alla data di esercizio dell’opzione”. Nello stesso senso, l’art. 2, comma 6, del d. lgs. n. 180/97, in attuazione della delega conferita dalla l. n. 335/95 in materia di opzione per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contribuivo, stabilisce che, ai fini del calcolo della pensione contributiva, “la retribuzione imponibile […] non può eccedere l’importo del massimale di cui all’art. 2, comma 18, della citata legge n. 335/95 rapportato all’anno considerato sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, così come calcolato dall’ISTAT”. Pertanto l’assicurazione pensionistica (IVS) è dovuta fino ad un massimale annuo, rivalutato annualmente ed i contributi versati in percentuale su questo massimale per il suddetto titolo vanno a confluire nel montante contributivo individuale sul quale verrà calcolata la pensione contributiva, mentre le assicurazioni non pensionistiche sono dovute sull’intera retribuzione.



Per l’anno 2010, l’INPS ha stabilito l’importo del massimale pensionabile in Euro 92.147,00, con circolare n. 16 del 2 febbraio 2010. Oltre il suddetto tetto, gli iscritti all’AGO non versano più contributi utili a fini pensionistici, ma soltanto le cosiddette contribuzioni minori (cfr. circolare INPS n. 7 del 15.01.2010, nella quale si precisa che il massimale di cui all’art. 2, comma 18, della legge n. 335/95, trova applicazione per la sola aliquota di contribuzione ai fini pensionistici (IVS), ivi compresa l'aliquota aggiuntiva dell'1% di cui all'art. 3-ter della legge n. 438/1992).
Si precisa, al riguardo, che l’INPS è tenuto a riscuotere anche i contributi per i fondi disoccupazione (DS), assegni familiari (CUAF), cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS), mobilità, malattia e maternità, che vengono destinati alla corresponsione di prestazioni a sostegno del reddito nei confronti della generalità di iscritti all’AGO ed hanno, pertanto, natura tipicamente solidaristica.

 

 


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