IL DECRETO LEGGE N. 162/2022 RIFORMA IN PEIUS IL REGIME DEI DELITTI OSTATIVI
07/11/2022
Stampa la paginaIl decreto-legge n. 162, vigente dal 31 ottobre 2022, ha introdotto alcune modifiche all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario «per l’adozione di una nuova regolamentazione dell’istituto al fine di ricondurlo a conformità con la Costituzione». L’urgenza del provvedimento deriva dalla «imminenza della data dell’8 novembre 2022, fissata dalla Corte Costituzionale per adottare la propria decisione in assenza di un intervento del legislatore».
Regime ostativo: decreto-legge n. 162 principali novità
Fra le principali novità contenute negli articoli da 1 a 4 del decreto, si segnala in primo luogo l’estensione del regime ostativo anche ai delitti i quali, pur non essendo inclusi nel novero dell’art. 4-bis, 1 comma, sono avvinti a questi delitti da un nesso teleologico.
Si sottolinea che l’accertamento della sussistenza di tale nesso teleologico compete non solo al giudice della cognizione ma anche a quello dell’esecuzione. Ne deriva una preoccupante dilatazione del regime ostativo che può ora applicarsi a qualsiasi tipologia di delitto purché, in base alla norma transitoria di cui all’art. 3, commesso dopo l’entrata in vigore del decreto.
Per quanto riguarda l’accesso ai benefici penitenziari, l’art. 4-bis, 1 comma, è rimasto immutato e dunque la collaborazione con la giustizia rimane la strada principale che il detenuto deve intraprendere per ottenere i permessi premio e le misure alternative alla detenzione.
Il comma 1-bis, invece, ha subìto profonde modifiche che si possono sintetizzare nei seguenti termini. Il decreto- legge ha eliminato, quale alternativa alla collaborazione effettiva, le ipotesi di cosiddetta collaborazione impossibile o inesigibile.
In assenza di collaborazione, per ottenere i benefici premiali i condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis, 1 comma, devono dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, e sono tenuti ad allegare elementi «diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo» tali da consentire di escludere «l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».
Al fine della concessione dei benefici va, infine, accertata la sussistenza di «iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa». Si osserva che, in modo del tutto irrazionale, è prevista la medesima procedura istruttoria per qualsiasi beneficio premiale con la conseguenza che la trafila per chiedere un permesso premio è la stessa di quella necessaria per ottenere la liberazione condizionale.
Proseguendo nell’analisi, l’art. 1-bis.1. dispone una disciplina differenziata per la concessione dei benefici ai detenuti condannati per i cosiddetti delitti di seconda fascia ovvero quelli che, pur non essendo espressione della criminalità organizzata, sono comunque attinti dal regime ostativo come è il caso dei delitti contro la pubblica amministrazione.
Peraltro, l’unica vera differenza consiste nel fatto che in relazione a tali reati non è prevista l’estensione del regime ostativo ai delitti ad essi avvinti da nesso teleologico, mentre la procedura per ottenere i benefici premiali, volta ad escludere «l’attualità di collegamenti con il contesto nel quale il reato è stato commesso», è sostanzialmente la medesima.
Il nuovo quadro normativo, quindi, consolida l’illogica inclusione nel regime ostativo, voluta dalla legge 3/2019, di tipologie di delitti generalmente di natura monosoggettiva, e completamente estranei al fenomeno della criminalità organizzata.
Il provvedimento si premura, altresì, di precisare che i benefici possono essere concessi ai detenuti sottoposti al regime del 41-bis solo se «tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato».
In pratica, in base a questa tautologica disposizione, i detenuti ristretti in regime di 41-bis sono esclusi dai benefici penitenziari. Infine, il decreto-legge modifica i presupposti della liberazione condizionale stabilendo che, per esservi ammessi, i detenuti devono aver scontato almeno due terzi della pena temporanea o trent’ anni in caso di ergastolo, e non più ventisei come in precedenza.
Per inciso, la previsione di un periodo di detenzione superiore ai 25 anni per accedere alla liberazione condizionale, si pone in palese contrasto con i principi espressi dalla Corte EDU in materia di umanità del trattamento sanzionatorio.
Inoltre, in base all’art. 16-nonies d.l. 15.1.1991 n. 8, conv. in l. 15.3.1991, n. 82, il condannato all’ergastolo che collabori con la giustizia può accedere alla liberazione condizionale dopo almeno 10 anni di pena.
In pratica, la nuova disciplina acuisce in modo irragionevole la disparità di trattamento tra l’ergastolano che collabora, che potrà accedere alla liberazione condizionale già dopo 10 anni e l’ergastolano non collaborante che dovrà invece attendere 30 anni.
Si tratta, in tutta evidenza, di una previsione non compatibile con i parametri di agli artt. 3 e 27 Cost. In buona sostanza, la nuova disciplina del regime ostativo, lungi dall’aver attuato le indicazioni della Corte Costituzionale, non appare conforme ai principi costituzionali.
Va ricordato che la Corte Costituzionale nell’ordinanza 97/2021, con la quale aveva sollecitato il Parlamento a intervenire sulla materia, aveva affermato che nella disciplina allora vigente ciò che si poneva in contrasto con i principi costituzionali era la previsione di una presunzione assoluta di pericolosità fondata sul presupposto della mancata collaborazione. In tale occasione la Corte Costituzionale aveva precisato che la nuova regolamentazione, in luogo di tale presunzione, avrebbe dovuto prevedere un iter istruttorio volto a sondare le ragioni della non collaborazione del detenuto al fine di verificare se il silenzio sia effettivamente riconducibile ad un perdurante legame del detenuto con l’organizzazione criminale.
Anche nella recente sentenza n. 20 del 2022 la Corte Costituzionale ha ribadito che la regola probatoria rafforzata a carico dell’ergastolano non collaborante si giustifica per la necessità che venga esclusa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Il nuovo quadro normativo consente, in effetti, al detenuto non collaborante di superare la presunzione di pericolosità allegando elementi volti ad escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata. Tuttavia, in primo luogo il tortuoso iter comporta un aggravio e un rallentamento della procedura alla quale la persona detenuta deve sottoporsi per poter accedere ai benefici penitenziari. Ma soprattutto, se la verifica della effettiva dissociazione dall’organizzazione criminale è il criterio dirimente per la concessione o meno dei benefici penitenziari per i reati ostativi, non si comprende perché il detenuto debba dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili o di riparazione pecuniaria e di aver assunto iniziative a favore delle vittime.
Tali requisiti sono ultronei rispetto alla logica che presiede la concessione dei benefici penitenziari, che devono essere preclusi soltanto ai detenuti che mantengono un legame con la criminalità organizzata. La richiesta di tali requisiti è censurabile, inoltre, perché lascia intendere che la buona condotta carceraria e la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo non sono elementi sufficienti ad ottenere i benefici. Si tratta di un’impostazione che contrasta con il principio stesso della finalità rieducativa della pena in base al quale è deputato a favorire il reinserimento sociale proprio il virtuoso percorso detentivo. In definitiva, se da un punto di vista formale il decreto-legge sembra assolvere all’obiettivo di ricondurre l’istituto a conformità con la Costituzione, nella sostanza la disciplina introdotta non è affatto rispettosa dei principi costituzionali.
Conclusivamente, si deve prendere atto che l’appello della Corte Costituzionale all’Organo legislativo, affinché provvedesse ad una modifica dell’ordinamento penitenziario conforme ai principi costituzionali, si è purtroppo risolto in una riforma in peius.