Il danno da perdita parentale non è in "re ipsa"

di Giancarlo Renzetti

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Con la sentenza n. 11200/2019 la Cassazione ha precisato che la liquidazione del danno non patrimoniale subito dai congiunti in conseguenza dell’uccisione del familiare non integra un danno “in re ipsa” .

Il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, essendo danno conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il risarcimento facendo ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.

La mera relazione di parentela non costituisce pertanto “ex se” prova del danno da perdita parentale, quale venir meno della comunanza spirituale con la vittima, che implica non necessariamente la convivenza ma la prova di rapporti e relazioni effettivamente esistenti.

Nel caso di specie la sentenza, cassata con rinvio,  aveva omesso di valutare che la vittima da molti anni viveva all'estero con la propria famiglia  e quindi sarebbe venuta a mancare, in capo ai fratelli intervenuti nel giudizio, quella comunione di affetti e spirituale, la cui lesione poteva integrare il danno da perdita del rapporto familiare.

La Corte ha precisato che in caso di fatto illecito plurioffensivo, determinato dalla lesione del rapporto parentale, ciascuno dei familiari superstiti è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subito, ed ha diritto ad una liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subito. 

Tale risarcimento è proporzionato alla durata ed intensità del vissuto, alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione, e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto.

Tali circostanze devono essere allegate e dimostrate da parte di chi agisce in giudizio, anche presuntivamente secondo nozioni di comune esperienza, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare

La mera relazione di consanguineità non è quindi da sola sufficiente ad integrare il danno risarcibile, gravando sui congiunti l’onere di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.

Avv. Giancarlo Renzetti Delegato Cassa Forense Lazio


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