I PROCEDIMENTI DI CONCILIAZIONE IN MATERIA DI LAVORO DOPO L’ART. 20 DEL COLLEGATO LAVORO 2024
23/05/2025
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Il motto proverbiale “meglio un magro accordo che una grassa sentenza” ispira da sempre il nostro Legislatore che, nel tentativo di deflazionare i carichi dei ruoli dei Tribunali, ha via via incentivato il ricorso a soluzioni conciliative delle liti.
Nella materia del contenzioso del lavoro si è assistito ad un percorso inverso se si considera che il tentativo di conciliazione stragiudiziale di cui all’art. 410 c.p.c. fu concepito come facoltativo dal legislatore del 1973, per poi divenire condizione di procedibilità della domanda nel 1998, tornando infine facoltativo con il “Collegato Lavoro” del 2010 (L. 4.11.2010 n. 183). E’ stato tuttavia il D.P.R. n. 115/2002 a riportare in auge l’antico detto, calando la scure del Contributo Unificato su un processo che era stato originariamente concepito come “esente, senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura” (art. 10, L. 533/1973).
Così, anche nella delicata materia del lavoro, i costi, i tempi, l’alea del giudizio e gli incerti in termini di risultato e di possibilità di recupero, inducono sempre più frequentemente le parti a ricorrere a soluzioni conciliative stragiudiziali.
La materia resta tuttavia delicata e perciò dominata dal principio di cui all’art.2113c.c. secondo il quale le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide e possono essere impugnate dal lavoratore, con qualsiasi atto scritto anche stragiudiziale, entro sei mesi dalla cessazione del rapporto o entro sei mesi dalla rinuncia o transazione se avvenuta successivamente.
Posta la regola, il quarto comma della norma ne espone l’eccezione rendendo inoppugnabili le rinunzie e transazioni oggetto di "conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile".
Il legislatore ha voluto così porre una particolare forma di protezione per il lavoratore in modo da garantirgli un “diritto di ripensamento”, sia pure soggetto a termini decadenziali, rispetto ai “magri accordi” ai quali egli sia stato indotto senza un’adeguata riflessione e senza aver magari ben compreso ciò a cui stava rinunciando. Tale protezione non è stata tuttavia ritenuta necessaria quando la conciliazione avviene in presenza di organismi qualificati operanti in sedi c.d. protette.
L’art. 2113 c.c. le individua nella sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), nelle commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), nelle sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.) e nei collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater c.p.c.).
La garanzia della adeguata comprensione dei termini dell’accordo conciliativo da parte del lavoratore viene quindi ancorata, alternativamente, o alla possibilità di impugnare la rinuncia/transazione o alla sede in cui avviene la conciliazione.
Le conciliazioni in sede sindacale, di cui all’art. 411 terzo comma c.p.c. costituiscono, probabilmente, la forma più agile di conciliazione in sede protetta in quanto si svolgono, senza particolari formalità, innanzi ad un conciliatore sindacale e si concludono, in caso di esito positivo, con la sottoscrizione di un verbale che può acquisire valore di titolo esecutivo.
Trattasi dunque della forma probabilmente più diffusa di conciliazione in sede protetta che, tuttavia, proprio per la sua agilità, maggiormente si presta al rischio di abuso dello strumento e quindi di sostanziale vanificazione del ruolo di protezione del lavoratore ad esso riconnesso.
Si pensi, solo per dare un’idea, alle conciliazioni svolte presso sindacati rappresentativi della parte datoriale o presso sindacati di scarsa rappresentatività e perciò maggiormente inclini a conciliazioni di “comodo”.
Per tale motivo, la giurisprudenza in argomento ha sempre accentrato l’attenzione sulla effettività dell'assistenza sindacale prestata dai rappresentanti sindacali al lavoratore, quale condizione di validità ed inoppugnabilità del verbale di conciliazione sindacale e delle rinunce e concessioni ivi contenute, “così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le "reciproche concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 c.c.” (Cass. Civ., Sez. Lav. n. 25796/2023; Cass. Civ., Sez. Lav. n. 24024/2013; Cass. Civ., Sez. Lav. n. 13217/2008). A tal fine si dovrà valutare se, in relazione alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 12858/2003).
Quindi, ancorché sia lo stesso art. 411, III comma c.p.c. a fare espresso riferimento alla sede sindacale come luogo di svolgimento del tentativo di conciliazione, nessuno aveva in realtà seriamente immaginato che tale sede dovesse coincidere con un luogo fisico e, precisamente, con la sede del sindacato.
Ciò è tanto vero che, ancora all’inizio dello scorso anno, la Suprema Corte ha ritenuto che “la necessità (omissis) che la conciliazione sindacale sia sottoscritta presso una sede sindacale non è un requisito formale, bensì funzionale ad assicurare al lavoratore la consapevolezza dell'atto dispositivo che sta per compiere e, quindi, ad assicurare che la conciliazione corrisponda ad una volontà non coartata, quindi genuina, del lavoratore. Pertanto, se tale consapevolezza risulti comunque acquisita, ad esempio attraverso le esaurienti spiegazioni date dal conciliatore sindacale incaricato anche dal lavoratore, lo scopo voluto dal legislatore e dalle parti collettive deve dirsi raggiunto. In tal caso la stipula del verbale di conciliazione in una sede diversa da quella sindacale (nella specie, presso uno studio oculistico) non produce alcun effetto invalidante sulla transazione” (Cass. Civ., Sez. Lav. 18.01.2024 n. 1975).
Ha destato quindi interesse e dibattito la successiva decisione della Cassazione del 15 aprile 2024 n. 10065 la quale ha confermato la decisione della Corte territoriale che aveva ritenuto nullo l’accordo sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore, alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società.La Corte ha infatti affermato che nel sistema normativo di cui all’art. 2113 c.c. “la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere. (omissis) I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all'organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all'influenza della controparte datoriale”.
In tale contesto si inserisce l’art. 20 della L. 13 dicembre 2024, n. 203 c.d. “Collegato Lavoro”, in vigore dal 12 gennaio 2025, il quale stabilisce che “i procedimenti di conciliazione in materia di lavoro previsti dagli articoli 410,411e 412-ter del codice di procedura civile possono svolgersi in modalità telematica e mediante collegamenti audiovisivi”.
Certo, occorrerà attendere i decreti attuativi del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della giustizia, da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, per conoscere le regole tecniche per l'adozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione da adottare nei procedimenti conciliativi di cui si tratta. Tuttavia, quando tali regole saranno adottate, difficilmente potrà negarsi piena validità alle conciliazioni sottoscritte da remoto con le prescritte formalità, quindi anche al di fuori della sede fisica del sindacato.