DISCRIMINAZIONI DI GENERE: LA COMPAGNIA AEREA CONDANNATA A REINTEGRARE DUE EX ASSISTENTI DI VOLO

di Ida Grimaldi

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UN’INTERESSANTE SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA DI CONDANNA PER MANCATA SELEZIONE E ASSUNZIONE A CAUSA DI MATERNITÀ

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n.336 del 6 febbraio 2024, conferma la discriminazione subita, da parte di due donne assistenti di volo, per  mancata assunzione in una compagnia aerea a causa dello stato di  gravidanza.

Il caso trae origine da un ricorso presentato in via di urgenza al Tribunale di Roma in funzione di Giudice del Lavoro, ai sensi dell’art. 38, D.Lgs. 198/2006, per veder accertato e dichiarato il carattere discriminatorio della condotta di una neocostituita compagnia di volo in quanto, nell’ambito del piano di assunzione, non avrebbe preso in considerazione la  candidatura delle due assistenti di volo, una  in stato di gravidanza e l’altra in maternità.

La Società, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto del ricorso eccependo l’inammissibilità dell’azione proposta per assenza di discriminazione in considerazione dell’apertura, ancora attuale, del piano di reclutamento del personale ed eccependo, altresì, che le ricorrenti non avrebbero assolto l’onere probatorio che loro incombe.

Il giudice della fase a cognizione sommaria, ritenuto provato ed accertato il comportamento discriminatorio della Società convenuta, accoglieva la domanda delle ricorrenti, ivi inclusa la richiesta risarcitoria. Lo stesso Giudice, tuttavia, non riteneva, fondate le domande delle ricorrenti nella parte in cui chiedevano che fosse ordinato alla società di assumerle, esorbitando dal potere giudiziale la costituzione coattiva di un rapporto di lavoro che sarebbe andato a confliggere con le prerogative riconosciute al datore in base ai principi espressi dall’art. 41 della Costituzione.

Avverso detta pronuncia la Società proponeva opposizione ex art.38 comma 3 D.Lgs 198/2006 chiedendo la revoca del decreto ed il rigetto delle domande delle lavoratrici; in detta fase, unitamente alle lavoratrici che resistevano all’opposizione e insistevano per le domande originarie, interveniva ad adiuvandum (ex art. 36, comma 2, D.Lgs n.189/2006)  la Consigliera di Parità della Città metropolitana di Roma Capitale, insistendo per l’accoglimento delle domande delle lavoratrici, ivi inclusa la richiesta risarcitoria.

Il  giudice dell’opposizione, ritenendo che la Società ricorrente avesse fornito validi elementi di natura oggettiva atti a dimostrare di non aver selezionato e  assunto le resistenti per ragioni di natura tecnico-organizzativa, revocava il decreto opposto, dichiarando l’insussistenza della condotta discriminatoria della società e del conseguente danno.

Contro detta statuizione le lavoratrici proponevano appello, insistendo nelle conclusioni già rese con l’originario ricorso introduttivo; si costituiva, altresì, la Consigliera di Parità della Città metropolitana di Roma, insistendo nelle conclusioni già rassegnate.

Con la Sentenza in commento la Corte d’Appello di Roma ha accolto  il ricorso sulla scorta delle specifiche  norme contenute nel Codice delle Pari Opportunità (D.Lgs 198/2006), testo finalizzato a combattere le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro.

La disposizione cardine è rappresentata dall’art. 25 la quale, nei primi due commi, vieta e definisce le  discriminazioni dirette e le discriminazioni indirette della lavoratrice o del lavoratore in ragione del genere e tali da determinare  un trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o lavoratore in situazione analoga. Completa il quadro della norma  il comma 2-bis, che ritiene discriminatorio “ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti“.

Al proposito vanno rammentate le importanti modifiche all’art. 25 del CPO, introdotte dalla cd “legge cd sulla parità salariale (L. 5 novembre n. 162 del 2021), che estende la  nozione di discriminazione anche agli atti compiuti nei confronti di “candidate  e candidati in fase di selezione del personale” (e non più solamente alle lavoratrici e ai lavoratori) ed  inserisce tra le fattispecie discriminatorie previste nell’articolo 25  anche gli atti di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro o che limitino lo sviluppo di carriera per la donna

Sotto il profilo procedurale, ai fini della repressone della condotta antidiscriminatoria,  l’art. 36 del CPO, che prevede  l’azione in via ordinaria avanti al Giudice del Lavoro, consente la legittimazione attiva anche al/alla Consigliere/a di Parità, su delega della lavoratrice, oppure la facoltà del/della Consigliere/a di intervenire ad adiuvandum, onde difendere il principio di non discriminazione. Norma di estremo interesse è poi l’art. 38 del D-lgs 198/2006, che è la norma utilizzata dalle due assistenti di volo nel caso di specie,  che prevede sia  la possibilità di ricorrere in via d’urgenza con un rito a cognizione sommaria sia il riconoscimento di un danno non patrimoniale a causa della discriminazione subita.

In attuazione, dunque,   della normativa prevista all’interno del Codice delle Pari opportunità, il  Giudice di Roma, ha, altresì, specificato che, ai sensi dell’art. 27 del D.Lgs. 198 del 2006, la tutela antidiscriminatoria comprende la fase di accesso al lavoro, come nel caso della mancata assunzione o ammissione alle procedure selettive per l’assunzione. Tale discriminazione, sempre sulla base della medesima norma, è vietata anche attraverso il riferimento allo stato di gravidanza.

In tale quadro, il giudice investito della questione, ha altresì messo in rilievo che,  nei procedimenti in materia di discriminazione di genere opera, ai sensi dell’art. 40, D.Lgs. 198,  un regime di distribuzione dell’onere della prova attenuato a favore della parte che denuncia la discriminazione: in base a detta norma, quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati statistici, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione. Nel caso di specie, mentre la  difesa delle ricorrenti ha fornito elementi precisi e concordanti sull’esistenza di una condotta discriminatoria in loro danno dovuto alla condizione di gravidanza, indicando anche svariati casi di lavoratrici in gravidanza anch’esse escluse ingiustamente dalla selezione, la difesa convenuta non ha individuato neppure un’assunzione di lavoratrice gestante e quindi non ha assolto all’onere probatorio imposto dalla norma.

La Corte d’ Appello, nel richiamare le norme sopra esposte, ha ritenuto fondato il ricorso delle due assistenti di volo superando, altresì, l’efficacia del primo pronunciamento: non solo ha accertato il carattere discriminatorio della condotta della Società sancendo l’obbligo di versare una somma a titolo di  risarcimento dei danni alle ricorrenti per la mancata selezione e assunzione, ma ha addirittura sentenziato il diritto delle stesse all’assunzione; ciò in quanto non può essere di ostacolo il principio di libertà imprenditoriale sancito dall’articolo 41 della Costituzione (richiamato dal primo Giudice), poiché la tutela invocata in base al D.Lgs 198/2006 non opera sul piano delle obbligazioni derivanti da norme che regolano il rapporto di lavoro, ma risponde all’esigenza di approntare una tutela piena voluta dal legislatore e volta alla rimozione degli effetti pregiudizievoli dipendenti da prassi e comportamenti discriminatori.

E così, la Corte d’Appello di Roma, con un’importante sentenza in applicazione delle norme di cui al D.lgs 198/2006,  ha accertato il carattere discriminatorio della condotta della Società di volo consistita nell’esclusione delle candidate in stato di gravidanza dalla procedura di selezione e assunzione quali assistenti di volo; ha ordinato alla Società  la rimozione degli effetti della condotta discriminatoria mediante selezione e assunzione delle ricorrenti; ha condannato la Società  al risarcimento del danno determinato in €22.206,90 per ciascuna (15 mensilità quali perdita di chances e con funzione dissuasiva) nonché al rimborso delle spese del doppio grado in favore sia delle lavoratrici sia della Consigliera di Parità della Città metropolitana di Roma, liquidata per ciascuna delle parti in €10.750,00 quanto al primo grado e in 8.400,00 quanto alla fase di   appello.

 


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