DECRETO 231, I PROBLEMI A 20 ANNI DALL'ENTRATA IN VIGORE

di Ilaria Li Vigni

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Che cosa disciplina il decreto 231?

In data 8 giugno 2001, il legislatore ha emanato il Decreto Legislativo n.231/2001 dal titolo:

 

“Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, entrato in vigore in data 4 luglio 2001.

Obiettivo principale della normativa è impedire corruzione e criminalità, prevenendo la commissione di reati e responsabilizzando e organizzando le imprese. 

Tale normativa si ispira alla legislazione europea che, con numerose direttive, aveva, negli anni, più volte, sollecitato l’Italia a dotarsi di una legislazione specifica in materia di responsabilità aziendale. 

Che tipo di responsabilità ha introdotto il decreto 231?

Tale decreto nasce con l’intento di definire le responsabilità a carico dell’ente, superando, parzialmente, il precetto secondo cui “societas delinquere non potest”, le società non possono commettere reato e l’articolo 27 della Costituzione che stabilisce la responsabilità penale come personale. 

Si definisce, quindi, una responsabilità amministrativa degli enti, ma, che in fondo, è assimilabile a quella penale, in quanto si uniscono tratti del sistema amministrativo con quelli del sistema penale.

Chi sono i destinatari del decreto 231?

La responsabilità dell’ente è imputabile nel momento in cui si accerti la commissione, da parte di persone fisiche, di uno dei reati presupposto, previsti nell’elenco dei reati contenuti nel decreto, nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Tale forma di responsabilità viene accertata dal giudice penale nei procedimenti in cui si tratti di contestazione a carico di soggetti apicali o da essi delegati che si ritiene abbiano commesso il reato.

Senza soffermarci troppo sugli aspetti generali del D.lgs. 231/2001, si ritiene importante, in questa sede, evidenziare le problematiche che si riscontrano, a venti anni dall’entrata in vigore.

Nel corso di questi anni l’elenco dei reati previsti dal D.lgs. 231/2001 si è “ampliato” sempre più, essendo stati inseriti illeciti molto diversi, e per certi aspetti completamente distanti, gli uni dagli altri. 

Basti pensare, per esempio, al terrorismo ed ai reati societari, alla mutilazione degli organi genitali femminili ed all’impiego di cittadini terzi il cui soggiorno è irregolare e ancora a delitti informatici, reati in materia di sfruttamento del lavoro, e cosi via.

Non si è, però, provveduto, a modificare, in conseguenza di tale ampliamento dei reati, il sistema dei modelli organizzativi.

Infatti, il D.lgs. 231/2001 è diventato una “scatola” mal custodita attraverso la quale diventa difficile escludere la responsabilità tramite l’adozione e la corretta attuazione del modello organizzativo e del controllo dell’ Organismo di Vigilanza.

E’ evidente come non ci sia una differenziazione nella disciplina che regola le piccole e medie imprese, che costituiscono la quasi totalità del sistema produttivo italiano, e le grandi imprese. 

pCome possiamo pensare che le piccole realtà si adeguino alle grandi imprese?

Questo è appunto uno dei grandi problemi del decreto, che, ad oggi, non trovano soluzione. 

Infatti, la causa principale di “bocciatura” dei modelli organizzativi è che sono tutti uguali.

Proposta di riforma del decreto 231

L’agenzia di ricerche e legislazione, Arel, già nel 2010, aveva formulato una proposta di riforma, su iniziativa dell’allora ministro della giustizia, Alfano.

Tale proposta riguardava l’introduzione di un ente certificatore del modello di organizzazione gestione e controllo, e, in particolare, proponeva la certificazione dell’idoneità del modello e delle relative procedure, che avrebbe portato, anche, benefici all’ente indagato.

La certificazione, affidata a soggetti inseriti in apposito albo tenuto presso il ministero della giustizia, avrebbe dovuto definire le caratteristiche professionali e di indipendenza dei soggetti abilitati ad ottenere la certificazione, e inoltre i criteri generali di idoneità del modello e delle procedure.

In Italia, purtroppo, a differenza del mondo anglosassone che ne fa uso in vari settori di attività, non siamo abituati all’utilizzo di un ente certificatore. 

E pertanto, oggi a vent’anni dall’entrata in vigore del D.lgs. 231/2001, manca non solo un ente certificatore, ma anche un’autorità con cui interfacciarsi e chiedere pareri.

Ciò è quantomeno singolare se si pensa che, invece, nella normativa relativa al trattamento dei dati personali, esiste l’autorità del Garante che emette provvedimenti e a cui si possono richiedere pareri, che, di certo, sono di ausilio all’attività del c.d. Data Protection Officer (DPO).

Nel d.lgs. 231/2001, mancando analoga figura di riferimento, la valutazione sull’idoneità del documento è rimessa alla discrezionalità del magistrato inquirente prima e giudicante poi.

Tale arbitrio, non supportato da competenza tecnica, in quanto, ovviamente, il magistrato non può avere conoscenza della specificità aziendale, risulta dannoso per l’imprenditore e per la società.

Pertanto, i documenti necessari, modello organizzativo e codice etico, unica arma di difesa della società, rischiano di essere spuntati e inadeguati, se non supportati da autorevole valutazione tecnica di ente terzo.

E le conseguenze, come noto, in caso di valutazione negativa del modello stesso da parte della magistratura, possono essere rilevanti per la compagine societaria, comportando elevate sanzioni pecuniarie e misure interdittive fino alla chiusura della società.     

Aggiornamento modello 231

Fondamentale, altresì, come prevede la legge, l’aggiornamento del modello organizzativo, non solo con un’aggiunta elencativa dei reati presupposto ma anche con una concreta e specifica valutazione delle aree di rischio connesse agli illeciti penali.

Tale aggiornamento, lungi dall’essere pratica semplice e routinaria, riceverebbe, di certo, beneficio da una supervisione di un’autorità competente in materia.  

Possiamo, quindi, auspicare che, a vent’anni dall’entrata in vigore della normativa, occorra, in primis, che l’azienda adotti un modello organizzativo con caratteristiche di efficacia e concretezza richieste dalle legge, avvalendosi per la redazione della consulenza di un legale esperto in materia penale e, soprattutto che venga istituita un’autorità garante in materia per dirimere controversie e risolvere eventuali dubbi.

In tal modo, il modello e il codice etico saranno dotati di concretezza e specificità necessarie per essere vere e proprie cartine di tornasole così da assicurare all’azienda il rispetto delle leggi e una corretta relazione con i soggetti con cui viene in contatto.


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