AIUTO AL SUICIDIO: SOLLEVATA NUOVA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 580 C.P.

di Lorena Puccetti

Stampa la pagina
foto

Con ordinanza del 17 gennaio 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze ha sollevato una nuova questione di legittimità costituzionale relativa alla condotta di aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p.

La vicenda riguarda tre persone, fra le quali Marco Cappato, nei cui confronti è stato instaurato un procedimento penale per aver aiutato un uomo affetto da sclerosi multipla a raggiungere una clinica svizzera al fine di praticare il suicidio assistito.

Il Contesto Legale del Suicidio Assistito in Italia

Per una migliore comprensione della questione è opportuno illustrare, sia pure sinteticamente, il quadro della legislazione attualmente vigente in materia di incriminazione dell’aiuto al suicidio.

Con la sentenza n. 242 del 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’art. 580 c.p. costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, a determinate condizioni, agevola l’esecuzione dell’altrui suicidio.

Tali condizioni sono state desunte dalla legge n. 219 del 2017, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, la quale prevede che il paziente tenuto in vita in modo artificiale possa rifiutare i trattamenti di sostegno vitale accedendo contestualmente alla sedazione profonda.

Secondo la Corte Costituzionale, sarebbe illogico pretendere che il medico sia tenuto a rispettare la volontà del paziente di rifiutare i dispositivi indispensabili a rimanere in vita e non ammettere, al contempo, che al malato possano essere somministrati trattamenti idonei a provocare direttamente un decesso rapido e senza sofferenze.

Pertanto, per superare tale incongruenza, la pronuncia citata ha delineato una causa di non punibilità applicabile a chi abbia agevolato l’esecuzione del proposito di suicidio della “persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da patologia irreversibile”.

L’applicabilità della causa di non punibilità è subordinata al rispetto delle modalità procedurali indicate dalla citata legge, fra le quali l’aver garantito alla persona malata un’appropriata terapia del dolore e l’erogazione di cure palliative, in un contesto medicalizzato e sotto il controllo delle strutture pubbliche del servizio sanitario. 

In seguito alla pronuncia, l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale è pervenuta ad una lettura del requisito della dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale più ampia rispetto a quella indicata dalla Corte Costituzionale. Al riguardo, si è osservato che il riferimento contenuto nella sentenza n. 242 alla sopravvivenza mediante trattamenti di sostegno quali la ventilazione, l’idratazione o l’alimentazione artificiale, avrebbe valore esemplificativo e non esaustivo. Quindi, il requisito ricorrerebbe anche nel caso in cui il paziente, pur non essendo collegato a macchinari, sia in ogni caso costretto ad assumere terapie farmacologiche necessarie per stabilizzare e mantenere le funzioni vitali. 

Caso Marco Cappato: Un Nuovo Sguardo sulla Condotta di Aiuto al Suicidio

Seguendo questa interpretazione, la Corte d’Assise di Massa Carrara con sentenza del 27 luglio 2020 ha assolto Mina Welby e Marco Cappato dall’imputazione di agevolazione al suicidio per aver aiutato una persona affetta da sclerosi multipla ad organizzare il viaggio in una clinica Svizzera. In una vicenda analoga, anche la Procura di Milano ha depositato in data 15 settembre 2023 richiesta di archiviazione nel procedimento nel quale, sempre Cappato, è imputato del delitto di cui all’art. 580 c.p. per aver accompagnato in Svizzera a praticare il suicidio assistito due persone affette da patologie irreversibili.

Nell’ordinanza in esame, il Giudice per le indagini preliminari di Firenze ha precisato che, pur condividendo tale lettura, nella vicenda sottoposta alla sua attenzione non sarebbe in ogni caso possibile applicare la causa di non punibilità introdotta dalla sentenza n. 242. Infatti, detta causa di non punibilità fa esclusivo riferimento all’ipotesi in cui il paziente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale i quali, per il contesto e il dato letterale della legge n. 219 del 2017, devono comunque intendersi, anche nella accezione più lata, come trattamenti di tipo specificatamente sanitario.

Nel caso concreto, invece, la persona deceduta mediante suicidio assistito aveva bisogno di essere assistita da terze persone per lo svolgimento delle attività fisiologiche quotidiane, ma tale ausilio pur se indispensabile a causa della progressiva immobilizzazione del paziente non costituiva un “trattamento sanitario”.

Ciò premesso, l’ordinanza osserva che la disposizione normativa appare in contrasto con i principi costituzionali e convenzionali ed in particolare con l’art. 3 Cost. per la irragionevole disparità di trattamento che determina tra situazioni sostanzialmente identiche.

Secondo il Gip, essendo la condizione della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale legata a circostanze accidentali e variabili a seconda del decorso della malattia, il requisito sul quale si fonda la causa di non punibilità non sarebbe idoneo a operare una selezione razionale tra condotte incriminabili o meno. In definitiva, nell’ordinanza si chiede alla Corte Costituzionale di dichiarare illegittimo l’art. 580 c.p., nella versione modificata dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 242 del 2019, nella parte in cui richiede che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale” per contrasto con gli artt. 2,3,13,32 e 117 Cost, quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 e 14 della Convenzione EDU.

La Complessità delle Decisioni Mediche nel Contesto del Suicidio Assistito

Nell’impossibilità di soffermarsi in questa sede sulle interessanti riflessioni contenute nell’articolata ordinanza, ci si limita a svolgere le seguenti osservazioni.

In primo luogo, ci si chiede sino a che punto la Corte Costituzionale possa supplire all’inerzia del Parlamento, più volte sollecitato a disciplinare la delicata materia del suicidio medicalizzato.

Nel 2019 la Corte Costituzionale è intervenuta con una sentenza c.d. additiva attraverso la quale, lasciando la condotta di aiuto al suicidio penalmente rilevante, ha integrato l’art. 580 c.p. indicando le condizioni di non punibilità della condotta di agevolazione al suicidio. Peraltro, per non interferire con la discrezionalità legislativa, la Corte ha rinvenuto tali condizioni dai dati normativi disponibili in base alla più volte ricordata legge sul biotestamento. Come riconosciuto dalla stessa ordinanza del Gip di Firenze, le situazioni come quella in esame esulano dal contesto della legge n. 219, che è volta a regolamentare il diritto del malato di rifiutare il trattamento di sostegno vitale, e dunque dalla causa di non punibilità.

Proprio per questo, si chiede alla Corte Costituzionale di estendere la causa di non punibilità, interpolando la norma penale di cui all’art. 580 c.p. come riscritta dalla sentenza n. 242. Tuttavia, individuando nuove aree di liceità del suicidio assistito al di fuori della cornice normativa della legge n. 219, la Corte Costituzionale finirebbe per svolgere quella funzione legislativa che spetta al Parlamento esercitare.  

Ma a rendere urgente ed indifferibile che le lacune normative siano colmate da un’apposita legge, e non attraverso le sentenze della Corte Costituzionale, è il fatto che l’introduzione di cause di non punibilità non appare una soluzione adeguata né per il paziente né per gli operatori sanitari.

Da un lato, come precisato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 242, il medico non è tenuto ad assecondare il paziente che voglia procedere direttamente al suicidio assistito anziché rifiutare i trattamenti di sostegno vitale. In tal senso, nella pronuncia si è esplicitamente affermato che «resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato». Inoltre, l’art. 1, comma 6 della legge n. 219, in base al quale il medico «è esente da responsabilità civile o penale», è rivolto alle ipotesi in cui il medico si sia limitato a rispettare la volontà del paziente di rifiutare il trattamento sanitario in conformità al dettato normativo.

Invece, il medico che abbia accolto la richiesta del paziente di intraprendere il suicidio assistito, è destinato ad essere attinto da un procedimento penale nell’ambito del quale un Giudice dovrà valutare la sussistenza dei presupposti della causa di non punibilità. È dunque necessario un provvedimento legislativo che faccia derivare la liceità della condotta del medico, e di terze persone, direttamente dalla legge e non dalla verifica di una causa di non punibilità che espone, chi accoglie l’implorazione del malato, al peso e all’incognita del procedimento penale. E si tratta di un intervento improcrastinabile poiché, per molti infelici, il Paradiso non può attendere.  

Altri in DIRITTO

Potrebbe interessarti anche