TECNOLOGIA, INNOVAZIONE E STUDI LEGALI

di Claudio Rorato

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Qual è lo stato di salute degli studi legali in Italia?

Stanno evolvendo verso nuovi modelli organizzativi e di business! Qualche numero, derivante dalle Ricerche dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, e alcuni commenti possono aiutarci a inquadrare meglio il tema.

Il 66% degli studi legali ha investito meno di 3.000€ nel 2019 in tecnologie e quasi il 60% ha dichiarato un livello di investimento simile anche per il 2020.

Sappiamo che le peculiarità della professione spiegano in parte la ‘freddezza’ della categoria verso le tecnologie, tuttavia la quota residua di studi – non solo quelli di grande dimensione – sta aumentando la spesa in tecnologie e, soprattutto, aumentando la propria cultura sull’innovazione (non solo tecnologica).

In generale, gli avvocati non evidenziano particolari criticità nell’utilizzo degli strumenti informatici dello studio. Da una parte, il risultato è sintomo dell’impiego di tecnologie ormai ben interiorizzate e conosciute nello studio, dall’altra, valutando anche la scarsa propensione agli investimenti in tecnologia, se ne deduce che il portafoglio tecnologico non sia mediamente tra i più evoluti.

Solo uno studio su 10 condivide i documenti con i clienti tramite il gestionale; di questi, due su tre sfruttano la flessibilità e la scalabilità del cloud. 

La maggior parte degli studi legali, però, mostra di non aver ancora percepito la collaborazione come leva competitiva e asset a valore aggiunto per i propri clienti, soprattutto nell’ottica di rendere più efficiente la relazione e rafforzare la fidelizzazione. 

Gli studi che sono interessati a sviluppare la collaborazione digitale con i clienti sono circa il 25%, segno di una cultura in movimento ma ancora sufficientemente acerba, soprattutto per le dimensioni ridotte.

Uno studio legale su due è aperto alle tematiche legal tech. Anche questo è un sintomo che qualcosa stia cambiando nell’avvocatura, una disciplina che, più delle altre, manifesta un’elevata concentrazione di micro e piccole realtà. 

Nonostante ciò, ancora il 19% degli studi legali valuta con diffidenza queste soluzioni, ritenute una minaccia sia a livello di credibilità sia a livello di erosione del mercato per gli studi tradizionali. 

Merita un’ulteriore riflessione anche il fatto che quasi uno studio su tre non conosca appieno queste tematiche: la digital disruption è ormai sempre più alle porte e questo gruppo di studi potrebbe trovarsi impreparato nei confronti di nuovi paradigmi operativi.

La ricerca di nuovi clienti è un punto dolente un po’ per tutte le categorie professionali, soprattutto per gli studi di ridotte dimensioni. Sono tre i principali problemi individuati:

  • clientela focalizzata più sul costo che sul contenuto;
  • eccessiva concorrenza;
  • clientela prevalentemente di vicinato.

Al di là delle difficoltà oggettive, appare però evidente una crisi di proattività.

I servizi, anche nelle loro modalità di erogazione, non si rinnovano, gli investimenti in tecnologia scarseggiano, si fa poco per rendere distintiva la propria offerta rispetto agli altri studi e agli occhi dei clienti, che percepiscono i servizi sempre più come commodity.

Come uscire da questa situazione di impasse?

Le azioni per uscirne sembrano deboli: non si agisce sulla ricerca di efficienza interna, almeno per difendere la marginalità, non si modificano i paradigmi organizzativi e di business tradizionali perché ‘difficili da attuare o lesivi della tradizione’, non si valutano aggregazioni perché prevale l’individualismo.

Le nuove abilità richieste riguardano proprio lo sviluppo di servizi distintivi, percepiti di valore dal cliente e l’uso della leva di comunicazione in modo più intenso e teso a valorizzare gli elementi peculiari dello studio, in grado di orientare anche il cliente nelle proprie scelte

Sui temi fortemente innovativi del web marketing, circa la metà degli studi legali si dimostra sensibile.

La quota aumenta, sino a raggiungere circa il 75% degli studi, se includiamo anche quelli che accettano ob torto collo queste nuove soluzioni. 

L’interesse, comunque, verso l’impiego di piattaforme rivela anche la debolezza nei confronti di un’attività – la ricerca di clientela – che non è ancora nelle corde dei professionisti, più abituati a ricevere richieste che non a proporre servizi di propria iniziativa

Due avvocati su tre, in modo più o meno consapevole, si mostrano aperti ai temi del legal design, ossia l'applicazione del concetto di human centered design al mondo del diritto.

Progettare contenuti, servizi e organizzazioni partendo dai bisogni del cliente e condividendo con lui ciascun passo, è un vero driver di cambiamento nel mondo legale italiano e internazionale.

Driver verso cui molti studi legali mostrano sempre più interesse, anche se la strada sembra più aperta alle nuove generazioni, più attente a una nuova visione collaborativa con il cliente.

I temi formativi più affrontati dagli avvocati nello scorso anno si dividono in due categorie: 

quelli relativi alle capacità di gestione e coordinamento (organizzazione del lavoro, comunicazione efficace, soft skills) e quelli relativi alle nuove tecnologie digitali (social network, legal tech, blockchain, smart contract). 

Note dolenti, invece, dai risultati relativi ai dipendenti, poco coinvolti in una crescita professionale che apre a contenuti diversi dall’aggiornamento tecnico-professionale.

Come già sottolineato, gli studi legali si dimostrano deboli nel coinvolgere i dipendenti in percorsi che ampliano la sfera professionale verso nuove abilità e in progettualità di sviluppo dei ruoli e dello studio.

Claudio Rorato - School of Management del Politecnico di Milano


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