LE RIDUZIONI MASSIME DEL COMPENSO DELL’AVVOCATO, MODIFICHE NORMATIVE E PRINCIPI GIURISPRUDENZIALI

di Michele Calabrese

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ALLA LUCE DELLA NUOVA FORMULAZIONE DEL D.M. 55/14 IL GIUDICE NON PUO’ RIDURRE OLTRE IL 50 % IL COMPENSO DELL’AVVOCATO

Una recente  sentenza di merito - Tribunale di Milano del 22.10.22 - fornisce l’occasione di verificare l’attualità del principio secondo cui “l'esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla "forcella" di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura”.

Vi è la sensazione che il principio enunciato non tenga conto dell’intervento normativo attuato dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37, che ha preceduto il recente decreto 13 agosto 2022, n. 147, entrambi modificativi dell’originario impianto del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Una modifica, quella del 2018, che non consente più di ritenere attuali taluni principii affermati in precedenza e, tra questi, come vedremo, proprio quello secondo cui il giudice potrebbe, sia pure con apposita e specifica motivazione, diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere rispetto ai “valori minimi”.

Invero, con effetto dal 27.04.2018, il D.M. 37/2018, ha modificato gli articoli 4, comma 1, 12, comma 1 e 19, comma 1, del D.M. 55/2014 sostituendo al precedente “di regola” l’attuale “in ogni caso”. Ne consegue che, sulla scorta del dato letterale, “in ogni caso” la riduzione dei parametri non potrà mai essere inferiore alle soglie percentuali ivi indicate.

Non è poi secondario ai fini interpretativi rilevare che fu proprio il Consiglio di Stato che, nell’esame in sede consultiva dello schema di quello che sarebbe poi stato il D.M. 37/2018, segnalò al Ministero la necessità di  prevedere una diversa formulazione degli artt. 4, comma 1, 12, comma 1 e 19, comma 1 del d.m. n. 55 del 2014, dalla quale emergesse con maggiore chiarezza l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti.

Risulta quindi chiara la ragione che ha portato alla sostituzione normativa della locuzione “di regola” con l’attuale “in ogni caso”: far emergere con maggiore chiarezza l’inderogabilità da parte degli organi giudicanti delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base.

In conclusione, il testo emerso dalla modifica del 2018 e le ragioni a questa sottese non consentono più di ritenere ancora attuale un principio che, invece, persino nel 2022 e attraverso richiami a pronunce antecedenti al D.M. 37/2018, viene purtroppo ripetuto in quelle decisioni che affermano la possibilità per il giudice, sia pure con apposita motivazione, di diminuire ulteriormente, rispetto al 50 % prescritto, gli importi da riconoscere all’avvocato.

L’evidente inattualità del principio è stata colta in nelle seguenti pronunce di legittimità  da cui emerge, infatti, la consapevolezza del tenore attuale della norma e di quale sia la sua interpretazione.

Nella motivazione di Cass. 34573/2021 (nei medesimi termini v. anche Cass. 37009/2021, Cass. 9691/2021 e 9690/2021, ) si legge: “Il raffronto tra il testo modificato e quello originario evidenzia come a seguito della novella la diminuzione dei compensi, prima prevista solo "fino al 50 per cento" oggi è contemplata con una diversa indicazione lessicale che depone nel senso che la riduzione del 50 % costituisca un limite oltre il quale il giudice non ha la possibilità di spingersi, rafforzando in tal modo il vincolo di inderogabilità dei minimi tariffari. Ne deriva che alla luce di tale modifica normativa non può ritenersi confortato dal testo normativo quanto sostenuto in passato da Cass. n. 2386/2017, secondo cui in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, essendo oggi invece esclusa la possibilità di scendere al di sotto della riduzione del 50% dei valori medi (per la riaffermazione della necessità che la liquidazione giudiziale debba avvenire nel rispetto dei parametri dettati dal DM n. 55/2014, si veda ex multis Cass. n. 1018/2018).”

In Cass. 1421/2021 è stato poi esplicitamente affermato che “Il quadro normativo non è mutato a seguito dell'entrata in vigore del D.M. n. 37 del 1998, che ha modificato il D.M. n. 55 del 2014 introducendo l'inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili "di regola".

Pertanto, alla stregua dell’attuale tenore degli articoli 4 e 12 del D.M. 55/2014, risulta evidente che il Giudice, non può “in ogni caso” ridurre i compensi oltre il 50%.

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